Dr. Pietro Cusati (Giurista – Giornalista)
Il problema tecnico di speciale difficoltà di cui all’art. 2236 del codice civile, in base al quale la responsabilità del professionista è limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, ricomprende non solo la necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media, o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza. Nel campo medico non ricorre automaticamente quando insorga una complicanza ,la quale ben può ricorrere in intervento di natura routinaria, salvo la prova da parte del sanitario della presenza del problema tecnico di speciale difficoltà.La Suprema Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 25876 del 16 novembre 20201, si occupa del concetto di complicanza in ambito medico legale, con riferimento all’operatività dell’art. 2236 del codice civile.Il problema tecnico di speciale difficoltà in base al quale la responsabilità del professionista è limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, non è identificabile con la mera complicanza, la quale ben può ricorrere in intervento di natura routinaria. Nella fattispecie trattasi di un caso di errata somministrazione di insulina da parte di un infermiere dell’ospedale e dalle complicanze insorte in capo al paziente durante l’iter terapeutico. Il paziente citava in un giudizio civile innanzi al Tribunale, l’Azienda sanitaria chiedendo la condanna al risarcimento del danno conseguente alla patologia di “sindrome amnesica anterograda residuata a coma ipoglicemico”, causata dall’errata somministrazione di insulina da parte dell’infermiere.Il Tribunale, previa CTU, accoglieva la domanda, condannando la convenuta Azienda al pagamento del risarcimento del danno.Avverso detta sentenza proponeva appello l’azienda sanitaria la cui impugnativa, veniva successivamente rigettata dalla Corte d’Appello territorialmente competente.L’Azienda, ricorreva quindi in Cassazione, eccependo la correttezza della condotta sanitaria avuto riguardo alla sintomatologia del paziente e, comunque, invocando l’applicabilità dell’art. 2236 c.c. al caso di specie e il problema tecnico di speciale difficoltà. L’invocato art. 2236 c.c., in materia di responsabilità del prestatore d’opera, stabilisce che la responsabilità del professionista sia limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave in tutti i casi in cui la stessa sia derivata dalla necessità di affrontare un problema tecnico di speciale difficoltà.Lo speciale regime di responsabilità, trova fondamento nella necessità di porre al riparo i professionisti da condanne risarcitorie in caso di colpa lieve ogni volta che la prestazione richiesta implichi la soluzione di problemi tecnici particolarmente delicati e difficili.La norma si propone, infatti, di non mortificare le iniziative dei professionisti con il timore di ingiuste rappresaglie da parte dei clienti insoddisfatti, in caso di insuccesso.La speciale difficoltà in ambito medico,vale a dire, se l’intervento è di facile esecuzione, la mancata guarigione e/o il peggioramento delle condizioni di salute “parlano da sé” e consentono di dare per esistente l’inadempimento, fatta salva la prova contraria.Viceversa, se la prestazione ha natura non “routinaria”, come quello di particolare complessità ove l’esito è incerto per ragioni tecniche e scientifiche, toccherebbe al paziente dimostrare, in modo preciso e specifico, quali siano state “le modalità inidonee” ossia gli errori commessi dal professionista. Sulla base di tali considerazioni, la nozione di speciale difficoltà non può coincidere con la semplice complicanza che si verifica durante un intervento di natura routinaria.Il problema tecnico di speciale difficoltà, è da ricomprendersi semmai nella necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori o, comunque, nell’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi e di speciale complessità.Affinché possa trovare applicazione l’articolo 2236 del codice civile, quindi, è necessario che si manifesti un problema tecnico ben più serio, riconducibile “in ipotesi in cui si richiede una notevole abilità professionale, allorché occorra risolvere problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e che comportino un largo margine di rischi complicanza”.Una difficoltà interpretativa del quadro sintomatologico di un paziente, non basta per la Corte di Cassazione a costituire un problema tecnico di speciale difficoltà.La mera problematicità del quadro sintomatologico, infatti, rappresenta una semplice complicanza che, di per sé, non richiede un impegno intellettuale superiore alla media, né può dirsi non ancora adeguatamente studiata dalla scienza, ma può solo indicare maggiore attenzione del chirurgo, senza escludere la “routinarietà” dell’intervento medesimo.Secondo i giudici della Suprema Corte di Cassazione , pertanto, in mancanza di prova contraria da parte del sanitario, la speciale difficoltà non è identificabile con la mera complicanza che ben può ricorrere in intervento di natura routinaria. In conclusione la Suprema Corte di Cassazione,terza sezione civile, con la recente ordinanza n. 25876, del 16 novembre 2020, ha stabilito che la complicanza che si verifica durante un intervento medico di routine non è da ricondursi all’art. 2236 del codice civile. L’articolo 2236 del codice civile statuisce che la responsabilità del professionista va limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave in tutte le ipotesi in cui la stessa sia derivata dalla necessità di affrontare un problema tecnico di speciale difficoltà. Sulla portata di tale principio è intervenuta la Cassazione. In sostanza, per i Supremi giudici dovrà ritenersi un problema tecnico di speciale difficoltà anche l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza.Con più particolare riferimento al campo medico, la nozione di speciale difficoltà non può, quindi, coincidere con la semplice complicanza che si verifichi durante un intervento di natura routinaria, ma affinché possa trovare applicazione l’articolo 2236 del codice civile è necessario che si manifesti un problema tecnico ben più serio, riconducibile alla definizione data dalla Corte e che il medico deve dimostrare. In tal modo, per la Corte di Cassazione, non è possibile qualificare come problema tecnico di speciale complessità una semplice difficoltà interpretativa della crisi di un paziente, ovverosia la mera problematicità del quadro sintomatologico: laddove manchino altre circostanze idonee a ricondurla nel campo di applicazione dell’articolo 2236 si tratta, infatti, di una semplice complicanza che, di per se, non richiede un impegno intellettuale superiore alla media, né può dirsi non ancora adeguatamente studiata dalla scienza. Alla luce delle considerazioni che precedono, una difficoltà interpretativa del quadro sintomatologico di un paziente, non basta per la Corte di Cassazione a costituire un problema tecnico di speciale difficoltà.