Vistoso calo di turisti stranieri nel Cilento

 

da Nicola Femminella (docente – scrittore – giornalista)

I dati Istat nel 2014 registravano 600.000 turisti stranieri nel Cilento. Nel 2022 ne erano rimasti 186.000; il 67% svaniti, attratti dalle lusinghe di altre località. Forse si erano fermati a Napoli, visto che la città della pizza e del mandolino in tema di visitatori macina numeri da capogiro e in continua, forsennata ascesa. Nel 2023 l’andamento negativo è stato confermato dai flussi turistici e il 2024 vedrà una nuova contrazione a detta degli osservatori più accreditati. La “Divina Campania “viene considerata tale evidentemente dai visitatori stranieri solo se riferita a Napoli, alla Costiera Amalfitana e Isole, a Pompei e Paestum. La parte meridionale della regione esercita un fascino minore, fra l’altro in declino e privo di incentivi.  Il grido d’allarme nei giorni scorsi si è elevato nel cielo infuocato di questa lunga estate e le analisi del fenomeno piovono a dirotto. Molteplici e di varia natura, quasi sempre ripetitive e stereotipe, che permangono tra le nubi che vagano nell’aere senza portare pioggia alla terra assetata di acqua.

Il dato non mi stupisce per due ragioni:

  • dal 2013 al 2020 ho deciso di intraprendere un grande tour in tutti i borghi dei quattro comprensori a sud di Salerno, per comporre un’opera che ponesse in evidenza le preziose e affascinanti risorse delle nostre località. Ovunque ho constatato che, a fronte del patrimonio storico, artistico naturalistico di cui sono dotati i nostri territori, di innegabile eccellenza e in gran quantità, non esistono le attività e l’ardore dei popoli perché le utilizzino in modo proficuo, per creare occupazione e reddito. Soprattutto nel settore del turismo. I beni preziosi messi in serbo nelle stratificazioni del tempo trascorso fin da quando l’homo ramapithecos, attraverso la scoperta della manualità, cominciò a lasciare traccia di sé, sono il frutto di una storia antichissima che ha visto gli esseri umani attraversare le epoche degli albori fino ai giorni nostri. In queste si è formata e consolidata una esuberanza delle scienze naturali determinata nei secoli da processi di una biodiversità creativa che non teme alcun confronto con le aree più dotate di bellezza e distintività naturalistica. La presenza di un patrimonio artistico-culturale, disseminato nei borghi e nelle contrade, se divulgato e fatto conoscere, allieterebbe gli occhi e le menti di turisti provenienti da ogni dove, invece di vivere in disparte la propria magnificenza.
  • I singoli paesi e gli enti comprensoriali, facenti parte del Parco del Cilento Vallo di Diano Alburni rimangono nei loro angusti confini, devitalizzati da uno spirito localistico duro da estirpare. Ostinati nel loro isolamento e incapaci di costruire reti solidaristiche per produrre impulsi propositivi per una progettualità feconda. Nessuna forza riesce a unirli per progettare azioni comuni, incisive e tali da sfruttare le risorse che possiedono e sviluppare nell’agevole settore turistico quelle iniziative che ne eviterebbero la fuga dei giovani e lo spopolamento che avanza a grandi passi. Una visione d’insieme tarda ad affermarsi, frenata da un municipalismo narcotizzante. Accade spesso che due paesi comunicanti non riescano a dialogare nell’organizzare due sagre uguali in giorni diversi, ognuno inventando una supremazia derivante da tradizioni inventate e non dettate dalla storia delle tradizioni antiche. Ne sono un esempio i dialetti che conservano le caratteristiche fonetiche antiche, facendo felici gli esperti di linguistica, senza averle mai amalgamate. Raramente sono emersi programmi condivisi fondati saldamente sull’unità di intenti di più Comuni. Mai, che io ricordi, un disegno, una visione di insieme posta in essere da una volontà inter comprensoriale che abbia evidenziata una convenienza comune, da mostrare alla Regione Campania o ai Ministeri di indirizzo e chiedere un finanziamento per grandi opere utili allo sviluppo dell’intero territorio, di quello che una volta seppe riunirsi sotto lo stemma della casata dei Sanseverino, creando un’epoca illustre. Basti pensare ad una strada di collegamento tra Paestum e il Vallo di Diano mai realizzata sulle tracce della strada Istmica, che già prima dei Romani collegava il mar Tirreno con lo Ionio, favorendo importanti scambi commerciali. Paestum conta 500.000 turisti all’anno, molti dei quali sono stranieri, che potrebbero spostarsi nel Vallo di Diano per visitare la monumentale Certosa di Padula, l’altera Teggiano, le suggestioni delle grotte di Pertosa-Auletta e Castelcivita e di altri numerosi borghi di ugual valore. Anni addietro L’architetto Paolo Portoghesi progettò la “Città Vallo di Diano”, città policentrica e “senza centro né periferia”, composta da tutti i paesi posti sulle colline sovrastanti la vallata con lo slogan “se tutti i paesi del Vallo si dessero la mano…” L’idea si cristallizzò  in un disegno urbanistico utopistico, e… le mani rimasero attaccate… al corpo.

A pensar bene i due punti citati fanno parte delle accuse che i seguaci di Calderoli rivolgono al Meridione, quando cercano di ostentare la necessità e la validità dell’autonomia differenziata con la quale vogliono ulteriormente scavare la fossa della differenza tra le due Italie, che da molti decenni procedono ad andatura differente. Le loro accuse abbondano: il Mezzogiorno non si è presentato unito agli appuntamenti con la storia, quando copiosi piani finanziari erano stati predisposti per il suo sviluppo socio-economico. Né ha mai mostrato e posto in essere un piano di sviluppo complessivo per creare nuove occasioni di industrializzazione e di lavoro, nelle pur favorevoli condizioni geografiche e naturalistiche del Sud d’Italia. Spesso ha sprecato risorse ingenti assegnate e non utilizzate con saggezza e competenza gestionale, senza portare a termine colossali opere infrastrutturali e di servizio. Cinismo, incapacità, dabbenaggine non hanno scosso la sfera delle responsabilità di coloro che ne avrebbero dovuto vigilare il buon esito positivo.

Da alcuni mesi sento parlare di necessaria unità tra i quattro comprensori e della ineluttabilità indifferibile di comporre programmi e progetti inter comprensoriali. Io stesso sto lavorando da quasi due anni con i proff. Renato di Gregorio, esimio esperto di sviluppo dei territori, e Giusy Rinaldi per una iniziativa volta a comporre una rete, un sistema, per riunire e divulgare i numerosi siti archeologici a sud di Salerno e quelli nel VII e VI secolo ereditati dai Focei nel Mediterraneo. Del progetto, definito in ogni particolare, ho spesso riportato gli elementi di contenuto su questa testata. Spero che i responsabili politici del Parco, Provincia Regione, Ministeri, ai quali è stato presentato, lo valutino con la dovuta attenzione, affinché possa essere preso nella giusta considerazione, se ritenuto valido e utile alle nostre comunità. Questa volta 44 Sindaci hanno aderito con delibera di giunta al progetto, segnando un risultato storico sulla strada dell’unità della parte a sud della Campania. Spero che chi è chiamato a dargli il sostegno finanziario comprenda lo spirito nuovo ed encomiabile che ha animato la decisione dei Sindaci.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *