Aldo Bianchini
CERTOSA di PADULA – Un signore che ha fatto e fa sport, che svolge la sua professione di medico con passione, che cerca di rispettare il prossimo come se stesso, e che adora la sua famiglia non può non essere una spendibile ed importante pedina di riferimento in un mondo che, dalla sciagurata globalizzazione in giù, tutto travolge e annienta scippando maldestramente anche quel poco di identità che dal passato era giunta fino a noi.
Parlo di Vincenzo Marino, medico urologo, che, venerdì 25 agosto 23 nello splendido scenario della spezieria all’interno della Certosa di San Lorenzo di Padula, ha presentato all’attento e numeroso pubblico il suo lavoro letterario “Ritorno a Paestum” (ed. Gruppo Editoriale Bonanno srl), una sorta di racconto di un viaggio (per alcuni versi anche fantasioso) tra il tempo della storia e lo spazio infinito dell’universo alla ricerca, quasi spasmodica, delle radici che per l’autore (così come per Odisseo alla ricerca della sua Itaca) affondano proprio in quella terra che fu per gli antichi greci come il “vello d’oro” che Giasone rubò direttamente al dio Ermes prima, molto prima, che divenisse la c.d. “Magna Grecia”.
Lo scrittore Marino è nato e cresciuto per pochi anni a Paestum, da moltissimi anni vive e lavora nel centro nord e non ha mai dimenticato le sue profonde radici che lo hanno anche portato verso una conoscenza molto penetrante dell’antica Grecia e dei suoi miti; e forse proprio pensando al mitico vello d’oro ha pensato di scrivere il suo virtuale ritorno nella terra che l’ha partorito quasi come se, attraverso le qualità curative e terapeutiche del vello, potesse lenire almeno una parte del dolore che porta dentro di se fin da quando è stato costretto a lasciare quelle terre a lui tanto care.
E racconta, Marino, con un’abilità dialettica ed una padronanza letteraria fuori dal comune, scorrevole – leggibile – intricante e appassionante, quel suo viaggio; tanto da farmi subito pensare che nelle note della quarta di copertina si sia addirittura schernito scrivendo che “A volte, per necessità interiore, scrive”; non sono d’accordo, Vincenzo Marino ha scritto non per placare una sua necessità interiore per spiegare a tutti, in diversi capitoli, la storia che si accavalla alla storia e che solo un viaggio può svelare e mettere a nudo in maniera positiva ed utile per il lettore che, nel farsi prendere dalla continuità del racconto, avrà modo e tempo di riflettere su quello che siamo, che siamo stati e che saremo.
E se un signore che ha fatto e fa sport, fa il medico e rispetta il prossimo, vuol dire che ci troviamo di fronte ad uno scrittore e/o romanziere capace di far rivivere, come in una sceneggiatura di un film, ad ognuno un pezzo o più semplicemente un flash della propria vita.
Il capitolo dedicato alla “stazione di Salerno” mi ha fatto rivivere alcuni momenti della mia infanzia quando seguivo mio padre (capostazione) nel suo ufficio e mi faceva strimpellare sulle macchinette per l’invio di messaggi con l’alfabeto Morse; un sistema di comunicazione, quello dei telegrafisti, che piano pano stava per essere sostituito dal telefono in quei primi anni ’60, all’epoca del grande sogno italiano di aver conquistato la luna della rinascita e del progresso.
Ma chi è Vincenzo Marino, medico per professione e scrittore per passione (almeno per il momento); lo spiega molto bene Francesco Parasole nella sua lunga ed articolata post fazione quando ammonisce tutti a non stupirsi che un medico possa essere anche scrittore, possa essere anche filosofo, possa sentire la naturale necessità di sconfinare da quella del corpo nella cura dell’anima, o che infine possa in un indeterminabile momento opportuno della propria esistenza tentare di ripercorrere le coordinate del viaggio fin lì intrapreso e, tanto per ritornare ai miti greci, al fine di capire che non esiste soltanto il viaggio iniziatico (Telemaco) ma anche il ritorno iniziatico (Odisseo-Ulisse).
Ebbene in questa, che a giusta ragione può essere definita l’opera prima, l’autore è stato capace di miscelare le due insopprimibili esigenze che, secondo la mitologia, portarono Odisseo e il figlio Telemaco ad incontrarsi almeno una volta e per un tempo brevissimo. Poi la voglia di viaggiare e la visione di un mondo nuovo portarono Odisseo ad allontanarsi per sempre dalla sua Itaca, non prima di averla resa immortale.
Questa, credo, è l’operazione che Vincenzo Marino ha di fronte se nell’immediato futuro; con ritorno a Paestum ha chiarito benissimo che il tempo è oro e come il vello deve essere scandagliato nei suoi minimi dettagli prima di utilizzarlo per altre ed ancora più affascinanti avventure; il tempo è cultura e come la cultura deve portare in viaggio, quasi per mano, il lettore da Paestum verso altri lidi.
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Per la cronaca, l’evento è stato ottimamente organizzato (come già scritto) dal presidente dell’Associazione Amici del Vallo di Diano e Cilento, dr. Gesualdo Russo, con sede in Cascina (Pisa) e con il patrocinio del Comune di Padula presente con l’assessora-vice sindaco Caterina Di Bianco; tra i relatori il prof. Carmine Pinto (storico e docente Unisa) e la dott.ssa Maria Teresa D’Alessio che con il suo intervento ha splendidamente raccontato l’opera di Marino al numeroso pubblico presente. Moderatore dell’incontro il noto giornalista Pietro Cusati (segretario dell’Associazione Giornalisti Amici del Vallo di Diano).