Aldo Bianchini
SALERNO – L notizia è di quelle ghiotte, almeno sul piano giudiziario: il collegio giudicante nel processo a carico di Mons. don Nunzio Scarano + altri (presidente Paolo Valiante, a latere giudici Enrichetta Cioffi e Giovanni Rossi) ha formalmente richiesto altri sessanta giorni per la pubblicazione delle motivazioni di una sentenza già annunciata con dispositivo del 4 marzo scorso che già dalle poche righe lette in aula si appalesava clamorosa.
Difatti sugli oltre cinquanta imputati di un reato gravissimo, qual è il riciclaggio di denaro, sono stati condannati soltanto in due: il soggetto principale cioè Don Nunzio Scarano e la sua ex commercialista Tiziana Cascone.
In quel dispositivo c’era già tanto e il fatto che il collegio ha richiesto altri 60 gg. aggiunge clamore su clamore per un caso giudiziario ai limiti della logica credibilità sul piano investigativo e dell’accanimento inquisitorio in sede processuale.
Al di là dei sofismi o delle elucubrazioni filosofiche applicate alla giustizia, il reato di riciclaggio può definirsi conclamato soltanto quando si è in presenza di due soggetti capaci di mettere in atto il famoso trenino del “concedente – ricevente – ritorno al concedente”; in questo caso, se ci fermiamo alla logica va subito detto che in campo c’è un solo soggetto per un reato che avrebbe commesso con tanti personaggi mandati tutti assolti. Qualcosa non torna in tutto questo; anche perché la commercialista in nessun caso può essere ricondotta ad occupare una delle due figure in campo, perché non ha ricevuto e neppure concesso denaro da riciclare.
In questo guazzabuglio giudiziario mi sono preoccupato di consultare il difensore di Mons. Scarano, avv. Riziero Angeletti, che non ha inteso rilasciare alcuna dichiarazione intendendo così lasciare campo libero al collegio giudicante e, soprattutto, al giudice estensore.
Personalmente ho seguito le fasi più importanti del dibattimento ed avevo maturato la convinzione che la saggezza e l’indipendenza del presidente del collegio avrebbe avuto la meglio sia sulle intemperanze di una Procura in chiaro affanno (la stessa pm Elena Guarino aveva dichiarato in aula che non era stato possibile dimostrare il riciclaggio in maniera irreversibile) e dello stesso Tribunale preoccupato dell’ondata mediatica contraria nel caso di un’assoluzione anche per don Nunzio e la commercialista.
Ma vado oltre, scrutando con attenzione anche gli atteggiamenti somatici del presidente Valiante mi era parso visibilmente convinto della innocenza del prelato salernitano rincorso e massacrato con una veemenza inusuale. La camera di consiglio ha, però stravolto tutte le sensazioni percepite in aula e conclamate dal fatto che oltre 50 soggetti sono stati assolti, senza alcun ragionevole dubbio.
Infine una riflessione di carattere giuridico; per il delitto di “violazioni fiscali” (che costituiscono il presupposto per il reato di riciclaggio) gli armatori D’Amico erano già stati assolti con sentenza definitiva della Cassazione; come a dire che Mons. Scarano non aveva, sia a monte che a valle, nessun interlocutore con cui riciclare denaro. Una sentenza che, però, a Salerno non ha avuto alcuna ricaduta; in effetti mentre la Cassazione cancella anche il reato presupposto qui da noi si continua a sentenziare, invece, la colpevolezza per un delitto che era impossibile compiere.
E le motivazioni della sentenza di condanna ?, non vorrei essere nei panni del giudice estensore. Meglio credere che questa “è una sentenza che non s’ha da scrivere”.