MILANO – Ghedini e Longo, nel silenzio dell’aula, alzarono un dito e …. dissero un nome: “si levò alto un nitrito”, grazie Edmondo esclamò Silvio nello studio della sua Arcore, grazie per aver presentato la cosiddetta legge Ciriellli sul ridimensionamento dei tempi di prescrizione. Si potrebbe racchiudere in questa breve frase tutto quanto è accaduto nel Tribunale di Milano, uno dei più importanti del Paese, per il fantomatico o famigerato “processo Mills”. Sul punto già si sono sprecati commenti e scritti, colorati, scoloriti, infamanti, assolutori, rabbiosi, bonisti. Insomma l’intero Paese si ritrova a discutere, come è sempre accaduto per le bontà e le malefatte di Berlusconi, una sentenza solo perché si tratta del Cavaliere, altrimenti le sentenze non si discutono, sinistra docet. Per quanto mi riguarda la migliore definizione di questa sentenza l’ha data su “Il Sole 24 ore” la giornalista Silvia Sciorilli Borrelli che ha chiosato il suo articolo dicendo che il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza “cerchiobottista”. Di fatto è “un processo che finisce senza un verdetto” sintetizza il Financial Times, ed in effetti “il decorso del tempo consegna all’ex Premier un’altra vittoria in una lunga sfilza di vicende giudiziarie” come scrive il Washington Post. Nel Regno Unito, patria del corrotto Avvocato Mills, dove peraltro l’istituto della prescrizione non esiste, The Guardian titola: “Il caso di corruzione di Berlusconi buttato fuori dalla Corte”, El Paìs ironizza che “Silvio Berlusconi si burla ancora una volta della giustizia italiana”, non meno severi i commenti degli altri quotidiani stranieri. Non c’è bisogno, secondo me, di allungarsi fino ai Paesi stranieri per commentare la sentenza che si commenta da sola. Dobbiamo dare per certo che, quello di Mills, è un processo che finisce senza un verdetto (Financial Times), è vero anche che il tempo consegna all’ex preieri un’altra vittoria (Washington Post), non è assolutamente vero però che qui da noi la Corte ha buttato fuori il caso di corruzione (The Guardian) perché lo sprovveduto giornalista inglese non sa che qui da noi la prescrizione è stato, forse, il male minore per tutti rispetto alle inspiegabili lungaggini della giustizia e, sempre il giornalista inglese, ha dimenticato che lì nel suo Paese i processi penali si concludono nel giro di quattro settimane e che rarissimamente questo limite viene valicato. Per tutti dovrebbe fare scuola il caso di Roberto Calvi (presidente del Banco Ambrosiano) trovato impiccato la sera del 17 giugno 1982 sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi. La giustizia inglese sentenziò dopo appena 28 giorni che Calvi si era suicidato. Dopo sei mesi la Corte Suprema del regno Unito, su pressioni italiane, sconfessò e punì quel giudice allontanandolo dal suo lavoro ed affidò ad un’altra corte un nuovo processo che sentenziò l’omicidio. Solo dopo 21 anni in Italia si concluse, con lo stesso risultato di omicidio, il processo nostrano. 28 giorni rispetto a 21 anni, tutta qui la differenza tra le due giustizie. Questa la ragione dell’istituto della prescrizione che è sacrosanto e così deve rimanere, utile per tutti e non soltanto per Berlusconi. Io non so se Berlusconi ha corrotto o ha dato incarico di corrompere Mills, forse non lo saprò mai; il famoso detto “non poteva non sapere” che secondo alcuni dovrebbe valere solo per il Cavaliere non mi convince. So per certo, però, che non mi piacciono l’arroganza e l’accanimento. Da un lato non mi piace l’arroganza di Berlusconi che riuscendo a tenere in scacco i magistrati ottiene il rispetto della legge, dall’altro l’accanimento dei magistrati nel voler a tutti i costi assaltare e distruggere un solo avversario. Una giustizia affidata al pallottoliere della conta dei giorni, che un magistrato utilizza a suo uso e consumo, non mi piace, anzi mi terrorizza. Desidererei una giustizia giusta anche se fatta dagli uomini, una giustizia che produca sentenze non in 28 giorni ma in tempi comunque certi, ravvicinati e concreti.
direttore: Aldo Bianchini