da Antonio Cortese
Con l’inizio del mese del Ramadan, molti “cittadini del mondo” ligi a religioni islamiche o altrettante orientali o della new age di memoria sessantottina, inizia anche una dieta di significato più ampio. Il paese più civilizzato che in maggioranza pratica questo appuntamento di regime alimentare é la Turchia. Ad essa si sta rivolgendo Mosca poiché dal paese della mezza luna si sono riaperte collaborazioni tese a riallacciare rapporti “economico-pacifici”. Erdogan in questi giorni é alle prese con un elettorato in fermento data la crisi monetaria in crescendo continuo da vari anni, dopo il golpe alle sue spalle del 2016. Da allora la Turchia ha smesso di pretendere di entrare in Europa perché conscia delle troppe complicazioni interne. Anche se la lira turca si svaluta ad inflazion battente il paese di Ankara ha la fortuna di aver seminato bene, avendo ospitato agenti economici da tutto il mondo dal duemila in poi, offrendo strutture e ventagli di investimento tali da far fiorire il settore bancario e specialmente la Turkish Airlines che nel frattempo è divenuta la compagnia di bandiera più operativa nel panorama dei voli. Inoltre i turchi sono in grado di galleggiare ancora grazie ai numeri di un Pil che già nel 2012 arrivava a cifre record, fino a sfiorare un nove per cento seguito a mala pena dal formicaio indiano. Entrando proprio in questo periodo che collima conflitto ucraino con economie da riassettare, il ramadan gioca a favore della diplomazia turca perché la severa dieta mensile può favorire psicologicamente a predisporre una dieta politica con la quale la pace può essere accelerata anche in vista di una quasi unilaterale tregua pasquale. Riallacciandosi a Mosca, Ankara metterebbe un sigillo ai fucili facendo deporre più bombe delle uova di una gallina nel pollaio, in una cesta di paglia e grano ad addolcire più l’appetito per le pastiere che gli appetiti di guerra.