da Pietro Cusati
Roma,11 marzo 2022 ,Palazzo della Consulta. La presenza di candidati di entrambi i sessi nelle liste elettorali comunali costituisce una garanzia minima delle pari opportunità di accesso alle cariche elettive. Quest’obbligo vale anche per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, solo che per loro la disciplina sulla presentazione delle liste elettorali non prevede nessuna sanzione nel caso di violazione? È incostituzionale la mancata previsione, per i Comuni con meno di 5.000 abitanti,( che rappresentano il 17% della popolazione italiana) dell’esclusione della lista elettorale che non presenti candidati di entrambi i sessi. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 62, depositata il 10 marzo 2022,redattrice la Vicepresidente Daria de Pretis. La presenza di candidati di entrambi i sessi nelle liste elettorali comunali costituisce una garanzia minima delle pari opportunità di accesso alle cariche elettive. Quest’obbligo vale anche per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, ma per essi la disciplina sulla presentazione delle liste elettorali non prevede nessuna sanzione nel caso di violazione? La misura di riequilibrio della rappresentanza di genere nei comuni più piccoli è ineffettiva e perciò inadeguata a corrispondere a quanto prescritto dall’articolo 51, primo comma, della Costituzione, secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Gli articoli 71, comma 3-bis, del Dlgs n. 267 del 2000 e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del Dpr n. 570 del 1960, relativi alla presentazione delle liste dei candidati nei comuni con meno di 5.000 abitanti, sono quindi incostituzionali nella parte in cui non prevedono rimedi per il caso di liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi. Riscontrato il vulnus, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’esclusione delle liste che non rispettino il vincolo costituisca una soluzione costituzionalmente adeguata a porvi rimedio. Si tratta infatti della soluzione prevista dalla stessa normativa sia per il caso delle liste lesive delle quote minime di genere nei comuni maggiori, sia per quello delle liste con numero inferiore al minimo di candidati negli stessi comuni con meno di 5.000 abitanti. Essa si inserisce coerentemente nel tessuto normativo senza alterarne in particolare il carattere di gradualità in ragione della dimensione dei comuni. Inizio modulo
L’incidente di costituzionalità è sorto nel corso del giudizio d’appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania che ha respinto il ricorso proposto da due cittadini nella qualità di elettori e componenti di una lista elettorale partecipante alle elezioni tenutesi il 21 e 22 settembre 2020 per il rinnovo del consiglio comunale di un comune con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Nel giudizio di primo grado, i ricorrenti, sull’assunto che la sottocommissione elettorale circondariale, decidendo il loro reclamo, avrebbe illegittimamente negato la ricusazione dell’unica lista concorrente, in quanto composta da sette candidati tutti di sesso maschile, avevano chiesto l’annullamento dei provvedimenti di convalida e di proclamazione degli eletti, la rettifica dei risultati elettorali e l’assegnazione agli stessi ricorrenti, quali secondo e terzo dei non eletti, dei seggi ottenuti da tale lista concorrente. L’assenza di un meccanismo sanzionatorio della mancata rappresentanza di uno dei due sessi impedirebbe l’effettiva realizzazione della parità di genere in contrasto con la ratio della stessa legge n. 215 del 2012, funzionale a sua volta a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la piena partecipazione di tutti all’organizzazione politica. La legge n. 215 del 2012 diretta a promuovere il riequilibrio di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali investe la disciplina delle elezioni dei consigli comunali. Per i comuni con meno di 5.000 abitanti non è prevista né la doppia preferenza di genere, né la quota di lista, sicché per essi l’unica norma di promozione del riequilibrio risulta essere quella generale, secondo cui nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi», contenuta nell’art. 71, comma 3-bis, primo periodo, t.u. enti locali (introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera c, numero 1, della legge n. 215 del 2012), che la rubrica della disposizione («Elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti»), consente di riferire senz’altro a tutti i comuni, e quindi anche ai più piccoli. A presidio di tale obbligo non è tuttavia prevista alcuna sanzione. Secondo la costante giurisprudenza della Consulta il legislatore gode di ampia discrezionalità nella disciplina della materia elettorale. In essa si esprime infatti con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa, che è pertanto censurabile solo quando risulti manifestamente irragionevole. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, t.u. enti locali e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570 del 1960, nella parte in cui non prevede l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
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