Meno nove al Colle

 

scritto da Luigi Gravagnuolo il 15 Gennaio 2022 per Gente e Territorio

 

Ci siamo quasi, tra nove giorni si svolgerà la prima chiama per la scelta del Presidente della Repubblica Italiana del prossimo settennio.

Nonostante ieri a Villa Grande il summit del Centrodestra si sia concluso con un invito unanime a Silvio Berlusconi a sciogliere la riserva ed a candidarsi formalmente per il Colle, al fixing di oggi le quotazioni più alte restano quelle di Mario Draghi.

In realtà la candidatura del cavaliere, palesemente provocatoria verso l’altra metà del Parlamento, continua ad apparire piuttosto come una manovra tattica di dubbia intelligenza che come un’opzione reale. Forse Berlusconi ci crede sul serio e i leader della coalizione del Centrodestra non vogliono amareggiarlo, ma così stanno consegnando il Centro armi e bagagli al Centrosinistra, o – più puntualmente – il Quirinale prima e l’Italia poi al Centro. Non so quanto tempo potranno reggere.

C’è di più, lo svolgimento del voto nel tempo del Covid, con l’eventualità tutt’altro che remota che alcuni grandi elettori possano essere impediti a partecipare al voto, o perché contagiati, o perché no vaxno green pass, nel caso di un’elezione con uno scarto risicato di voti, determinerebbe inevitabilmente una coda di contestazioni giuridiche e di polemiche. Non di certo un buon inizio per il settennato del nuovo Presidente, chiunque sarà.

Viceversa, un voto a larga maggioranza stempererebbe di molto il contenzioso, circoscrivendolo a disquisizione tra giuristi. Una decina di elettori impossibilitati ad esprimere la propria preferenza sarebbero politicamente insignificanti a fronte di una maggioranza di centinaia di voti.

Il buon senso spinge dunque per un voto a larga maggioranza, magari già in una delle prime tre chiame.

Contro Mario Draghi l’argomento più debole, alla stregua di un boomerang, è il ‘basta con i tecnici, torniamo alla politica’. E Draghi cos’è? Si può arrivare al Governo della Banca d’Italia, a quella della Banca Centrale Europea, alle innumerevoli e prestigiose cariche nazionali ed internazionali, infine alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la più larga maggioranza parlamentare della storia della Repubblica, se non si hanno straordinarie doti di governo e di mediazione, cioè doti politiche?  O i partigiani del no ai tecnici e del ritorno ai politici vogliono intendere no ai competenti ed ritorno ai politici maneggioni e schierati? a destra, al centro o a sinistra, purché schierati? Draghi non lo è, ma questa è esattamente la sua forza. Il voto di fine gennaio, infatti, non riguarda la scelta del capo di una coalizione, ma dell’icona dell’unità nazionale e di un arbitro imparziale, pur se non ingenuo. Per questo dicevo di un argomento boomerang, l’indipendenza di Draghi dagli schieramenti, unitamente alle sue competenze non comuni, ne fanno il candidato ideale per la Presidenza della Repubblica, altro che il tecnico digiuno di politica che dovrebbe lasciare il posto alla vecchia volpe degli intrighi parlamentari.

Tra Palazzo Chigi e il Quirinale la strada è dunque aperta, non però immune da mine ed ostacoli. Certo, non siamo ai tempi in cui il presidente in pectore veniva rapito e giustiziato dalle Brigate Rosse (Aldo Moro), o suo figlio veniva rapito dalla camorra e rilasciato solo grazie al riscatto, cioè ad una trattativa coi malviventi (Francesco De Martino), o il cui cognato veniva beccato con le mani nel sacco per essersi appropriato di beni di partito utilizzando a copertura il nome del suo parente leader dello stesso partito (Gianfranco Fini). Oggi pare che i servizi ed i poteri occulti che hanno condizionato per decenni la vita della nostra Repubblica non si siano attivati, il che è un bene, ma i nodi da sciogliere sono ancora tanti.

Il più rilevante è quello di Palazzo Chigi. Comunque andrà a finire per il Quirinale, giocoforza il governo cadrà.

O si dimetterà da Capo del Governo perché eletto alla massima carica dello Stato, o perché impallinato dalla sua stessa maggioranza attuale, ma Draghi a palazzo Chigi non resterà. E poi, mese prima mese dopo, massimo tra un anno si voterà per le Camere; impensabile che ci si possa arrivare in un clima da volemose bene tra forze politiche rivali, o che l’Italia possa sostenere senza danni un anno di caos, di tutti al governo e tutti all’opposizione, di tutti partiti di lotta e tutti di governo. Roba da neurodeliri.

Il governo, dunque, cadrà e al voto politico ci arriveremo con un governo di parte ed un’opposizione che non farà sconti. Ma chi ci governerà nei prossimi dodici mesi? Il nodo non è affatto semplice da sciogliere e qui, su questo scoglio, rischia di infrangersi la salita al Colle di Mario Draghi. O di esaltarsi il futuro capo del Governo di Centro al quale la Destra sta consegnando le chiavi dell’Italia.

 

 

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