Avv. Giuseppe Amorelli (scrittore)
Vi è un diritto “nascosto” nella Carta Costituzionale, esso è il diritto di un soggetto, sia esso individuo o popolo, di non obbedire ad un potere illegittimo o agli atti del potere non conformi al diritto. Se una legge, un provvedimento, emesso da un potere dello stato, si ritiene che sia manifestamente contrario ai diritti inviolabili, cosi come indicati in costituzione, esiste la possibilità della disobbedienza civile, in applicazione del cosiddetto diritto di resistenza ?
Questa è la domanda che oggi il cittadino si pone.
Il Prof. Giuliano Amato sosteneva che: “ i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo “non fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare una permanente conformità dell’azione governativa agli interessi in senso lato della collettività popolare.”. Pertanto in un sistema democratico, come il nostro, mentre la rivoluzione è certamente eversiva, quanto è diretta a rovesciare il sistema esistente, la resistenza invece può senz’altro considerarsi “ conservativa”, in quanto è espressione di fedeltà del cittadino ad un sistema che tutela un suo diritto minacciato dall’arbitrio dell’autorità. Si possono allora non rispettare, ovvero disubbidire alle leggi se le stesse vanno contro la coscienza e i diritti umani. Una prima idea di diritto di resistenza o di disobbedienza alla norma positiva, ispirato prevalentemente ad un diritto naturale, era emersa tuttavia già nel V secolo a.C. in Grecia allorchè, Sofocle scrive la sua tragedia “Antigone.”
La figura di Antigone che di per sè evoca il perenne conflitto tra la legge scritta e la legge della coscienza, tra il diritto positivo codificato in legge dalla volontà legislativa e il diritto naturale non scritto che si ritiene però scritto nella coscienza degli uomini, ripropone il dialogo eterno tra Creonte che difende la cieca legalità e la stessa Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle leggi non “scritte”. Un contrasto tra la umana giustizia e le fredde leggi.
Antigone, eroina che rivolgendosi, a Creonte, disse:” Tu parli di un divieto imposto dalla legge degli uomini. Ma io a ben altra legge mi sono ispirata. Una legge che nessuno sa quando e da chi è stata sancita: la legge dell’amore.”
Il diritto di” resistenza” però lo troviamo presente e riconosciuto non solo nell’antichità ma anche all’interno della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 5 luglio 1776: “Noi riteniamo che tutti gli uomini sono stati creati tutti uguali, che il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, sia diritto del popolo il modificarla o l’abolirla, istituendo un nuovo governo che ponga le basi su questi principi. Allorché una lunga serie di abusi e di torti tradisce il disegno di ridurre l’umanità ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo”.
Fonte a cui si ispirò anche l’articolo 2 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 della Francia rivoluzionaria, che stabiliva: “Lo scopo di ogni società è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà e la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”. Anche da noi alla fine del Settecento, sulla scia delle rivoluzioni americana e francese si studiò la questione. Gaetano Filangieri – amico e ispiratore di Benjamin Franklin, tra i padri della Costituzione americana – ne La Scienza della Legislazione (1780-85) osservò che “non tutte le azioni contrarie alle leggi sono delitti, non tutti quelli che le commettono sono delinquenti. L’azione disgiunta dalla volontà non è imputabile; la volontà disgiunta dall’azione non è punibile. Il delitto consiste dunque nella violazione della legge accompagnata dalla volontà di violarla”.
Fu Mario Pagano, nella Costituzione della Repubblica partenopea, che qualificò il diritto di resistenza sviluppandone un triplice significato. In pratica il diritto di resistenza sarebbe consistito nel: diritto dell’uomo contro chi impedisce l’esercizio delle facoltà individuali; diritto individuale del cittadino contro la tirannide;
diritto del popolo come baluardo di tutti i diritti contro gli abusi perpetrati dal potere costituito. La Costituzione partenopea di Pagano addirittura ebbe la lungimiranza di prevedere una Corte apposita, l’Eforato, avente il compito di garantire l’effettività di una vita democratica liberale.
Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale il problema del riconoscimento giuridico del diritto-dovere di resistenza all’interno degli ordinamenti, si incomincio a porsi il problema di formalizzare un diritto di resistenza.
In primis fu la Costituzione del Lander dell’Assia del 1.12.1946, che all’art.147 affermava: “La resistenza contro l’esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito è diritto e dovere di ciascuno”.
La Costituzione del Lander di Brema del 21.10.1947, all’art. 19 affermava:” Se i diritti dell’uomo stabiliti dalla Costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la resistenza di ciascuno è diritto e dovere”;
La Costituzione del Lander di Brandeburgo del 31.1.1947, all’art. 6 disponeva: “Contro le leggi in contrasto con la morale e l’umanità sussiste un diritto di resistenza”;
La stessa Costituzione della Repubblica Federale Tedesca ,all’art.20, 4° comma, affermò:” Tutti i tedeschi hanno diritto alla resistenza contro chiunque intraprenda a rimuovere l’ordinamento vigente, se non sia possibile alcun altro rimedio”.
La Costituzione Italiana però non prevede espressamente il “diritto di resistenza. All’Assemblea Costituente, il dibattito sulla questione, posta espressamente, durò circa un anno e fu particolarmente vivo. Il problema fu affrontato in sede di Prima Sottocommissione incaricata di redigere il Progetto, nota come Commissione dei Settantacinque, la discussione sul diritto di resistenza prese l’avvio subito dopo l’approvazione dell’art. 2 del Progetto di Costituzione, evidenziando sin da subito la stretta connessione tra la tematica del diritto di resistenza e quella della sovranità. Il suddetto art. 2 così disponeva: “La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente
costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.
Tutti i poteri emanano dal popolo che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti”.
Giuseppe Dossetti, avanzò la sua proposta in prima sottocommissione ispirandosi alla Costituzione francese del 1946: “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che vìolino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino.
Anche Aldo Moro, osservò “si precisa come al singolo, o alla collettività, spetti la resistenza contro lo Stato, se esso, avvalendosi della sua veste di sovranità, tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi”.
Dopo il passaggio nel Comitato di redazione (o dei 18) il testo sulla resistenza entrò – leggermente modificato – come secondo comma dell’articolo 50, nel progetto di Costituzione, rispetto all’ originale di Dossetti, infatti, il testo apparve : “Quando i poteri pubblici vìolino le libertà fondamentali e di diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.
Sta di fatto che, quando si votò il testo dell’attuale articolo 54 (che intanto aveva sostituito l’articolo 50 del Progetto), il diritto di resistenza fu soppresso, nonostante il voto favorevole dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti, finendo assorbito nel principio di fedeltà. Mortati ne firmò infine l’epitaffio: “Non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima. Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica. Si è detto che questo articolo potrebbe avere un valore educativo, e questo è vero. Ma bisogna allora stabilire se la Costituzione debba essere un testo di legge positiva, oppure un trattato pedagogico. Il diritto di resistenza quindi non trova concretizzazione positiva nella Carta Costituzionale, dove invece è previsto il dovere di fedeltà di cui all’attuale art. 54
Il diritto di resistenza può ricavarsi dalle ratio di molte norme costituzionali (es. articoli 1,2,3 e 54) perché esprime il principio di sovranità popolare, garantisce la tutela dei diritti inviolabili ed è espressione del dovere di fedeltà alla Repubblica e non di obbedienza alle leggi dello Stato: il dovere di fedeltà alla Costituzione, sancito dall’articolo 54, comporta il dovere di non obbedire alle leggi che sono in contrasto con essa.
All’attualità il diritto di resistenza, potrebbe essere un utile strumento di tutela e difesa dei principi repubblicani e dei diritti dell’individuo.
L’art 1 comma 2 della Costituzione recita:“ La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
La dimensione collettiva della resistenza rimanda, invece, ad un’azione di riaffermazione dei valori e dei principi chiave della Costituzione. Insomma una rivolta, nei confronti dei governanti, i quali colpevoli di un abuso e di una distorta valorizzazione del potere conferitogli, subiscono il ridimensionamento da chi è reale sovrano ovvero i vituperati “cittadini”.
Qual’ è oggi il quadro della società italiana : famiglie in crisi economica per l’aumento indiscriminato di tutti i prodotti di prima necessità , aumento illegittimo delle bollette gas luce, mutui, vessata dagli enti di riscossione e abbandonata a sé stessa; ogni studente calpestato da una meritocrazia solo formale e non sostanziale; ogni paziente costretto a mettere a rischio ulteriormente la sua salute per i deficit delle strutture sanitarie pubbliche. Tutta questa umanità vituperata ha diritto a resistere contro chi permette e determina tutto ciò, ovvero la violazione dei diritti umani e la violazione della sovranità popolare.
Anche un Insigne giurista ambientalista, Saverio Di Jorio nella sua opera:” Disciplina e tutela dei beni culturali ed ambientali”, auspica il ricorso alla resistenza:” il diritto all’ambiente e i diritti dell’ambiente, nell’ambito dei diritti fondamentali dell’uomo, imprescindibili ed irrinunciabili, connessi ed intrecciati con il diritto alla vita ed alla salute, specie nelle aree protette e di grande valenza, sono legati al senso dello Stato e della comunità. Non possono essere lasciati ad esclusiva pertinenza (e cura . . . ) di uno Stato, a volte, dotato di burocrazie anonime, indifferenti e negligenti”. Una resistenza “adattata” e “pacificata” che aiuta a sostenere valori costituzionali imprescindibili che fanno della non-violenza il loro carattere distintivo.
Occorre riprendere dove la Costituzione è rimasta incompiuta e riaffermare espressamente Il diritto di resistenza che diventa, il momento della partecipazione attiva alla vita democratica di guisa che viene esercitato per garantire il rispetto di diritti fondamentali dell’individuo, il punto di incontro tra morale e diritto