In questo biennio i paesi deboli dell’Unione Europea (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda ed in parte l’Italia) sono alle prese con una serie di riforme restrittive per ridurre il deficit ed il debito accumulato. Della Grecia si è fatto un gran parlare negli ultimi mesi, sempre al centro delle cronache economiche per via del suo ipotetico default, ma la situazione di un’altra nazione in forte difficoltà sembra stia passando inosservata: quella del Portogallo.
Un paese di quasi 11 milioni di abitanti, entrato nell’Unione Europea, allora CEE, il 1 Gennaio 1986 assieme alla Spagna, con il fine di uscire dalla situazione di arretratezza economica in cui versavano a pochi anni dalla caduta dei loro regimi dittatoriali avvenuta a metà degli anni ’70.
Per via di un ridotto apparato industriale ed un’economia basata essenzialmente su servizi, agricoltura, artigianato e turismo, il Portogallo è caduto in una profonda recessione ed è attualmente sotto osservazione da parte della Trojka che ha imposto, come per la Grecia, una serie di manovre restrittive e di tagli per ottenere dei prestiti necessari a scongiurare lo stato di insolvenza.
Lisbona, a differenza di Atene, ha mantenuto le promesse e da “studente modello” ha rispettato tutti gli impegni e centrato gli obiettivi richiesti: tagli alle pensioni, cancellazioni di tredicesime e quattordicesime per i dipendenti pubblici, aumento dell’Iva e delle tariffe dei servizi pubblici, riduzione dei trasferimenti statali alle pubbliche amministrazioni locali e periferiche.
Si è sbloccata una prima tranche di finanziamenti nei mesi scorsi, ma gli sforzi ed i tagli del paese hanno notevolmente pesato sull’economia lusitana che, in una spirale negativa, ha visto contrarsi i consumi, crollare la spesa pubblica con una conseguente fase di recessione (si prevede per il 2012 il quarto anno consecutivo di contrazione del Pil e l’ammontare del debito pubblico quest’anno arriverà a sfiorare il 120% del prodotto interno lordo).
La Troika, composta da Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea ed Unione Europea, per sbloccare nuove tranche di finanziamenti e scongiurare il default del paese, che dopo il governo Papademos è quello che ha il rischio di insolvenza più elevato, ha imposto nuovi sacrifici al Governo di Lisbona: misure a favore della competitività, che si tradurranno in nuovi tagli a salari e minori tutele per i lavoratori dipendenti, oltre a privatizzazioni e riforme strutturali.
Le istituzioni internazionali, ed in particolare il Fmi, a mio avviso, hanno la memoria corta: imporre nuovi tagli indiscriminati alla Grecia, prima, e al Portogallo, poi, conducono ad una pericolosa riduzione dei consumi; bisogna, inoltre, fare attenzione al pericoloso binomio aumento delle privatizzazioni e moneta forte. Proprio questo binomio è stato tra le cause principali del default argentino; a Buenos Aires il piano scellerato e miope di cessione a privati dei beni di stato redditizi (gli unici appetibili agli interessi delle grandi società di investimento) unito ad una moneta forte (il peso argentino nel 2001 era ancorato al cambio con il dollaro in rapporto 1 ad 1) ha indebolito fortemente l’economia argentina, in quanto si sono prosciugate casse pubbliche e sono diminuite fortemente le esportazioni, poiché i prodotti nazionali erano estremamente costosi rispetto ai concorrenti cileni o brasiliani. Questo ha innescato una spirale negativa che ha portato al fallimento.
A mio avviso, sembra proprio che il Portogallo, sebbene stia seguendo le indicazioni della Trojka, non riesce ad uscire dalla crisi e, al contrario, è in recessione con il suo stock di debito lievitato in maniera impressionante. Chiedere nuove privatizzazioni è un grave errore, in quanto lo Stato sarebbe costretto a svendere i gioielli di famiglia per fare cassa. Rimarrebbero per gran parte in mano pubblica quei beni e servizi poco profittevoli e idrovori di risorse, come i servizi socio assistenziali, l’istruzione o la difesa che, in presenza di scarsità di risorse, si vedrebbero ancora di più limitati.
Se a ciò affianchiamo una moneta forte come l’euro, il Portogallo avrebbe una bilancia commerciale con l’estero sempre più deficitaria, in quanto i suoi prodotti sarebbero meno convenienti di quelli della concorrenza extra europea.
Le istituzioni internazionali quando impongono misure eccessivamente restrittive dovrebbero fare delle valutazioni di medio lungo periodo, che mirino a salvaguardare la stabilità economica delle nazioni in difficoltà e ad incentivare la loro crescita, piuttosto che concentrarsi esclusivamente su taglio dei costi e privatizzazioni che produrrebbero solo effetti di breve periodo, necessari alle esigenze di cassa momentanee, ma che nel tempo condurrebbero ad un ulteriore depauperamento della loro struttura economica.
Una analisi attenta. Da considerare seriamente.