SAN REMO – Che sia o meno il Santo Protettore della celebre località della costa ligure, benedetta da Dio e dagli amanti, ci pensi almeno lui a ridare un po’ lucidità a tutti coloro che, in questa parte dell’anno, se ne occupano per motivi artistici: organizzatori, presentatori, cantanti. E con loro speculatori, provocatori e intrallazzieri di ogni specie. C’è da scommettere che l’Italia intera, o quasi, era incollata dinanzi agli schermi TV martedì sera in apertura di serata. Il tam-tam della RAI, che ci aveva bombardato giorno e notte nell’imminenza dell’evento, aveva quasi superato quello analogo del pagamento del canone. Non potevamo non accogliere l’invito, in una pausa tra cose un po’ più serie, per quanto infastiditi da quelle sollecitazioni mediatiche della casa madre della TV. Il grande show del molleggiato ha attratto l’Italia. La voce del dominus super pares della nostra canzone, quella polemica, anziché critica, ha reso Sanremo un evento alla moda. Non della canzone, ma del malessere italiano, selezionato a temi: preti politicizzati, Famiglia Cristiana e Avvenire da chiudere, Consulta insensibile agli esiti del referendum dipietrista, e così via. Circa un’ora di (non) festival per azzannare. I ritorni pubblicitari hanno giustificato ampiamente il cachet quasi milionario percepito (in beneficenza postdatata) e la manifestazione ha chiuso in bellezza (si fa per dire) la sua prima puntata. Non c’è limite al gusto e ben vengano mezzi anche anomali quali quelli messi in piedi dagli organizzatori, pur di raggiungere gli obiettivi prefissi. Tuttavia, tanto per rientrare un po’ tutti nei ranghi, ci fa piacere evocare la nostalgia dei tempi andati. Quando presentatori con la P maiuscola, professionisti, quindi, del settore, introducevano i cantanti; quando questi eseguivano meravigliose canzoni melodiche davvero italiane; quando il pubblico godeva inorgoglito, in un ideale rilancio concorrenziale nei confronti del pur bel mondo musicale di un altrove vicino o lontano; quando TV e giornali commentavano l’indomani su quelle esibizioni canore e non su critici improvvisati del sistema-Italia. Sanremo torni, dunque, alle antiche origini. Quelle di un festival canoro prestigiosissimo, modesto, magari, negli effetti, nelle scene, negli ospiti dell’extra-canto, ma autentico nelle sue finalità musicali. Anche perché, di questi tempi, ritorni o non ritorni pubblicitari, la gente comune, quella della TV di casa e non del teatro sanremese a 600 euro a posto, non butta giù tanta ostentazione di ricchezza, di faraoniche sceneggiature, di cosce ridotte all’inguine, per quanto godibili agli sguardi non ipocriti dei maschietti italiani. Per scarrozzare, alla fine, da un canale all’altro, in cerca di un qualcosa più godibile e rilassante.
Torni la vera musica, quindi. Di sermoni confezionati ad arte, veramente poco nobile, francamente non sappiamo che farcene. lucida e precisa analisi