Aldo Bianchini
SALERNO – L’ultimo infortunio mortale sul lavoro accaduto (in ordine di tempo) l’altro giorno a Montecorvino Rovella ha riacceso ovviamente il dibattito che lievita intorno questione della sicurezza e della prevenzione sui luoghi di lavoro.
L’altro giorno a Montecorvino il 57enne Giovanni Colangelo è morto a causa delle lesioni riportate in seguito ad una caduta da una tettoia (poco più di tre metri d’altezza) di un’abitazione sulla quale stava lavorando. E subito si sono riaperti i soliti discorsi sulla prevenzione relativamente alla sicurezza, su come farla passare nell’immaginario collettivo, e bla-bla-bla !! Qualcuno ha anche rispolverato a metà, il vecchio principio secondo cui è proprio l’età dello sfortunato Colangelo ad essere più a rischio, e non solo per le endemiche carenze in materia di presidi personali antinfortunistici.
Dopo venti anni dall’inizio del terzo millennio è, secondo me, giusto cominciare a chiedersi perché il fenomeno delle “morti bianche” (così vengono denominati gli infortuni mortali sul lavoro) invece di recedere sembra aumentare, nonostante i giganteschi progressi tecnologici conquistati dall’umanità negli ultimi decenni, soprattutto dalla conquista della Luna in poi e dall’arrivo imperioso della globalizzazione.
Forse l’aumento delle morti bianche è dovuto proprio alla globalizzazione che ha scardinato gli storici principi di trasparenza e fidelizzazione tra committente – fornitore – subfornitore – concessionario, ecc. ecc., ed ha lanciato nella battaglia dei mercati l’unico elemento da tenere in considerazione sotto forma di profitto.
Le morti bianche, dicevo, sono in ascesa dappertutto (a Salerno e provincia dall’inizio dell’anno 2021 si sono verificati ben 9 infortuni mortali sul lavoro, per fermarci a quelli regolarmente catalogati e dichiarati !!) ed in tutte le categorie lavorative. Anche se, nel recentissimo passato, sono stati registrati simili infortuni soprattutto nel settore del tessile che, forse, più degli altri soffre il travolgente passo della globalizzazione e più di tutti si espone al perverso rapporto committente – subfornitore che costringe le piccole e medie aziende del cosiddetto triangolo del tessile tra la Lombardia e l’Emilia. Un triangolo che, badate bene, sostiene buona parte dell’economia italiana garantendo migliaia di posti di lavoro.
In questo vitale settore lavorativo e produttivo manca probabilmente il rispetto della Legge n. 192 delm10.06.1998 che disciplina, appunto, la subfornitura nelle attività produttive di piccola e media entità. Insomma, per dirla tutta, in questo settore specifico dell’economia italiana esiste il grave problema della dipendenza economica che sconvolge tutto il faticoso equilibrio “economia – produzione – occupazione” che come un dominus condiziona tutta la categoria costringendo, forse, le imprese a richiedere macchine operatrici e sistemi di protezione che mettano in primo piano la quantità della produzione a discapito, fatalmente anche se non volutamente, della qualità – del compenso spesso da fame e della prevenzione antinfortunistica.
Non ho, naturalmente, la chiave di soluzione del problema; avverto, però, la necessità di contribuire alla sua risoluzione sulla scorta della mia lunga esperienza ispettiva nel mondo del lavoro.
A Salerno, porto un esempio, esiste la sede nazionale LAIF (Libera Associazione Imprese Façoniste) che è presieduta dal salernitano dr. Carmine Traversa; mi appello alla sua riconosciuta sensibilità ed al fatto che la LAIF raccoglie il maggior numero di imprese del settore tessile nazionale sarebbe quanto mai opportuno organizzare sia a Salerno che altrove ben mirati confronti pubblici su una problematica che forse tutti non conoscono.