Casale Monferrato: la città dell’amianto

Aldo Bianchini

TORINO – Tutti a proclamare “storica” ed anche “giusta” la sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato gli imprenditori svizzeri Stephan Schmidhaeny e Louis De Cartier, dirigenti della Eternit spa, responsabili della morte di migliaia di lavoratori e semplici cittadini di Casale Monferrato. A mio sommesso avviso quella di Torino non è una sentenza storica e non è neppure una sentenza giusta. E’ una sentenza che ha giudicato un fatto, che non ha esaminato le condizioni storico-politiche che produssero l’insediamento industriale e che, come tale, va presa, rispettata e doverosamente commentata. Altrimenti si rischia di fare il mestiere dei giudici e non quello dei giornalisti o della gente comune. Per sviluppare il mio ragionamento devo forzatamente precisare quello che è il mio pensiero in merito agli infortuni e malattie professionali subiti e contratte a causa di lavoro dipendente. Il lavoratore ha diritto ad ogni forma di tutela personale ed ambientale, lo dico da persona addetta ai lavori per tanti anni, salvaguardando sia la produttività aziendale che i livelli occupazionali. Molto difficile realizzare una troika di questo genere. Questo come concetto generale che deve essere compreso quando ci si inoltra per i sentieri della sicurezza sul lavoro. A monte di questi tre elementi di equilibrio ci sono, ed è bene non dimenticarlo, le scelte politiche fatte in ragione dell’industrializzazione forzata del Paese a ridosso della “seconda rivoluzione industriale di fine ‘800” che cambiò in tutto il mondo civile l’equilibrio tra “società d’elite” e “società di massa” a vantaggio di quest’ultima con tutte le derive che ne conseguirono. In pratica tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 la tutela personale ed ambientale del lavoratore era una materia ancora tutta da scoprire e da disciplinare lentamente sulla base delle casistiche ufficiali. Le prime vere leggi in materia, difatti, furono promulgate soltanto nel 1955 con il PDR 547 che ancora oggi per gran parte è in vigore. Tutto ciò come discorso generale, dicevo prima, mentre nel particolare, cioè nella fattispecie, si sono messe di traverso anche le varie correnti di pensiero scientifico in merito alla lavorazione ed al trattamento dell’amianto. Soltanto negli ultimi anni ha prevalso la corrente di pensiero che ha ritenuto, ovviamente, molto dannosa tale lavorazione per la salute dei lavoratori ed anche dei cittadini residenti nelle immediate vicinanze di uno stabilimento come quello della Eternit spa. Per la cronaca va ricordato che lo stabilimento incominciò la produzione nel lontano 1907 (in piena era post rivoluzione industriale) su spinte politico-sociali che venivano anche dal ristretto territorio di Casale Monferrato e che la stessa comunità piemontese ha realizzato le sue fortune economiche proprio sulla presenza di quello stabilimento che per ottant’anni ha garantito occupazione e salario a decine di migliaia di famiglie. Lo stabilimento fu chiuso definitivamente il 6 giungo 1986. Non mi inoltro più di tanto nell’analisi della sentenza, per farlo bisognerà aspettare la pubblicazione delle motivazioni, soltanto così potremo parlare bene e meglio e, se del caso, anche criticare, prima di parlare di sentenza storica e giusta in maniera affrettata e raffazzonata, al di là dell’incolpevolezza delle vittime e dei tantissimi malati. Non comprendo, infine, la dichiarazione del capo della procura torinese Giancarlo Caselli che commentando la sentenza ha detto: “Vogliamo questi magistrati liberi, autonomi e indipendenti”. E perché tutti gli altri magistrati non lo sono? Purtroppo in questo Paese sono stati creati i miti e i predicatori, e Caselli è uno di questi, che per carità divina non possono essere nemmeno criticati o semplicemente messi in discussione. Caselli è un vecchio magistrato (anche se  non anagraficamente) e come tale è passato di moda anche perché è finita l’epoca del “Cavaliere” in cui bastava sparare a zero  su di lui per essere subito santificati. Da qualche mese a questa parte bisogna ponderare bene quello che si dice, i predicatori incolti e di giornata sono avvertiti. Del resto se ne è  accorta anche la RAI, seppure con un certo ritardo, ed è caduta nella trappola di Celentano. Per ritornare all’Eternit, e chiudere, va detto che se i giudici hanno accertato violazioni delle misure di sicurezza la sentenza è giusta,  non storica e soprattutto per arrivare alla responsabilità “dolosa” ce ne corre e sarà difficile che questo principio possa passare indenne al vaglio dell’appello e della Cassazione. Probabilmente sarà proprio questa eccessiva e storica (questa si!!) ossessione di Raffaele Guariniello da Vallo della Lucania a fargli perdere la battaglia di una vita: il dolo a carico dei datori di lavoro come responsabili del determinismo degli infortuni le cui concause sono sempre, e comunque, da ricercare anche nel rapporto uomo-lavoro. Alla prossima.

 

 

 

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