scritto da Luigi Gravagnuolo – 26 Settembre 2021
per “Gente e Territorio”
L’attuale assetto istituzionale e l’architettura della vita democratica, così come concepiti tra il XVIII e il XX secolo, non reggono più. È di solare evidenza. Ma come potrebbe essere riassestata o re-ingegnerizzata la nostra democrazia? Con l’intesa che quando parliamo di democrazia, diciamo di libertà. E non solo della libertà di parlare e straparlare senza impedimenti di sorta, cioè dell’inderogabile libertà di espressione, ma anche della libertà di concorrere alle decisioni che condizionano la nostra vita comune, insomma di partecipare alle scelte della politica.
La risposta a questa domanda è un cimento arduo e chi scrive non ha l’ardire neanche di immaginare di avere la ricetta giusta in tasca. Fior di giuristi, politologi, scienziati della politica, sociologi ed economisti ci lavorano da un trentennio a questa parte con esiti interessanti eppure non risolutivi.
D’altronde stiamo discorrendo di un tema che ha per oggetto gli uomini e le donne, le persone in carne ed ossa, con le loro infinite varietà culturali, anagrafiche, sentimentali, geografiche, religiose. Uomini e donne con le proprie storie particolari e con la loro storia comune. Insomma, rivitalizzare la democrazia non è come cambiare le ruote ad una macchina, si passa necessariamente per tentativi, esperienze, verifiche, conflitti ed accordi. Occorre tempo.
Dalla invenzione della macchina a stampa – convenzionalmente nel 1455, quando vide la luce la prima edizione della Bibbia con i caratteri a stampa – alla nascita della democrazia parlamentare trascorsero quattro secoli, segnati da rivoluzioni e controrivoluzioni, guerre politiche e religiose, scoramenti e momenti esaltanti. La storia procede a zig-zag, non chiede educatamente il permesso per aprire una fase nuova.
Ora siamo nel pieno di una rivoluzione delle modalità e dei veicoli della comunicazione per molti aspetti analoga a quanto avvenne con l’invenzione della macchina a stampa da parte di Gutenberg. Siamo nell’era di Internet e con ciò, per lo meno con ciò, bisogna misurarsi.
Tra i tentativi più innovativi di questo inizio secolo di ripensare e riorganizzare le procedure della democrazia, c’è stata senza dubbio la piattaforma Rousseau di Gianroberto Casaleggio. Quando ormai eravamo arrivati a percentuali raccapriccianti di astensione elettorale, Casaleggio senior, col supporto di un testimonial dalla sorprendente potenza comunicativa, qual è stato Beppe Grillo, scommise sulla partecipazione diretta degli individui alle decisioni della politica tramite il web. L’ancien regime della democrazia delegata fece spallucce, non capì, lo snobbò, sottovalutò. Poi, quando cominciò a capire, se ne impaurì e cercò di demonizzarlo. Infine il nuovo MoVimento politico, figlio di quell’intuizione, si impose nelle urne col micidiale uno-due del 2013 e 2018.
Un trionfo a cui concorsero le buone intuizioni e le sterili invettive, i vaffa che soppiantarono i pensieri. I rancori sociali alimentarono pulsioni giustizialiste e tout court antidemocratiche. Infine, un branco di sprovveduti all’arrembaggio, assolutamente improbabile come nuova classe dirigente, arrivò al governo del nostro Paese. L’inizio del nuovo governo fu spaventoso. L’Italia pagò un costo pesante.
Poi, poco alla volta, il MoVimento si è visto costretto a fare i conti con la realtà e ci sono state la scrematura, le scissioni e la selezione di un pezzo della nuova classe dirigente dell’Italia. La quale nuova classe dirigente, una volta formatasi, nel tentativo di coniugare l’esperienza della piattaforma Rousseau con le strutture dello stato costituzionale, ha dovuto giocoforza ripensare la propria forma organizzativa, elaborare un nuovo statuto e chiudere con la stagione di Casaleggio senior.
Un fallimento dunque? No, piuttosto un tentativo ed un esperimento da studiare con attenzione e senza pregiudizi. Compito che volentieri lasciamo a chi più di noi sa e può.
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