PAGANI – Prima di scrivere questo articolo ho fatto un sereno esame di coscienza e mi sono chiesto, più e più volte, quale peso potesse mai avere sul mio pensiero e sul mio scritto il fatto di conoscere Giuseppe Santilli, per motivi familiari e di lavoro, da più di trent’anni. Nessuno !! è stata la risposta che mi sono dato. Ho la capacità, che spesso viene confusa con l’egoismo, di essere freddo e non influenzabile anche nei giudizi su fatti e persone a me molto vicine. Nel caso di Peppino Santilli c’è un valore aggiunto che posso tranquillamente tradurre per iscritto in poche parole: “Non credo e non crederò mai alla colpevolezza di Peppino”, oltretutto non posso credere a quelle accuse devastanti ed infamanti che si sono abbattute sul suo capo dopo decenni di duro lavoro e di dedizione assoluta alla famiglia. Nato e cresciuto in una famiglia numerosa e non benestante, Peppino si è fatto da solo a prezzo di durissimi sacrifici. Ha sempre pensato alla sua famiglia d’origine, non l’ha mai abbandonata, ha tirato dietro di se i fratelli mentre andava costruendo la “sua famiglia”, anche questa numerosa, in una Pagani difficile, quasi ostile contro ogni forma di “legale professionalità”. Della professione, di quella professione di consulente-commercialista ne aveva fatto la ragione di vita, della sua vita. Come poter dimenticare i momenti di spensieratezza passati insieme in qualche ristorante di Pagani o “da Zaccaria” ad Atrani dopo mesi e mesi di intenso lavoro. In questo lungo periodo, da luglio 2011 ad oggi, mi sono spesso chiesto come sia possibile che una persona trasparente, professionale, mai raggiunta dal benché minimo sospetto, non appena entra in politica (forse dalla parte sbagliata!!) viene addirittura massacrata in un micidiale tritacarne che non lascia intravedere vie d’uscita. Non è possibile, c’è qualcosa che mi sfugge e che nasconde la spiegazione di tutto negli inesplorabili meandri della politica e del fenomeno del pentitismo che spesso è così inquietante come inattendibile. Ma queste sono tutte considerazioni assolutamente personali e fatte in piena libertà sulla base delle mie convinzioni che poggiano le basi sul rispetto assoluto dello stato di diritto di ognuno di noi e sulla presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva. E proprio in forza di queste convinzioni mi chiedo perché qualcuno ha commesso l’irreparabile errore di riportare di nuovo dietro le sbarre Giuseppe Santilli che evidenzia patologie cliniche tali che anche un bambino capisce che le sue condizioni fisiche non sono assolutamente compatibili con il regime carcerario. Del resto lo avevano già certificato i medici dopo il primo arresto del 15 luglio 2011 e la successiva destinazione al “regime di arresti domiciliari” , inoltre lo hanno riconosciuto gli stessi pm Montemurro e Volpe, rilasciando parere favorevole, non appena il difensore di Santilli, avv. Silvana D’Ambrosi, ha depositato l’istanza di scarcerazione per motivi di salute; e infine lo avrebbero anche già segnalato agli Organi competenti anche gli addetti al servizio di custodia carceraria di Fuorni. Chi è il responsabile di questo brutale accanimento giudiziario che appare assolutamente spropositato anche dopo la pronuncia della Cassazione che, è bene ricordarlo, nell’ordinare in punta di diritto la nuova carcerazione non si è certamente soffermata sulle condizioni di salute che ne avrebbero impedito la cattura. Chi pagherà le spese per i danni fisici e morali che Giuseppe Santilli sta subendo inopinatamente a causa della nuova traduzione in carcere. Prima di parlare o di scrivere di “un articolato sistema politico-criminale per imporre assunzioni, pretendere pagamenti, sponsorizzazioni e favori aggravati dal metodo camorristico, con lo scambio elettorale tra Gambino e il clan Fezza-D’Auria” inviterei tutti i colleghi giornalisti a non trascrivere semplicemente e soltanto le veline ma a soffermarsi anche, sia pure per un momento, sulle storie singole e personali per poterne ricavare un giudizio più sereno e, soprattutto, più obiettivo. Anche un rigo o una semplice parola può fare più male e più danni di un mandato di cattura. Voglio concludere dicendo semplicemente e soltanto che “il nuovo arresto in carcere di Giuseppe Santilli non si poteva e non si doveva fare”. Il resto, tutto il resto, ce lo dirà la prima udienza processuale prevista per il 29 febbraio prossimo, una data da ricordare e non soltanto perché ritorna una volta ogni quattro anni.
direttore: Aldo Bianchini