da Antonio Cortese (giornalista)
A Salerno si celebra san Matteo per sciogliere l’ansia del proprio patrono. Una città che i visitatori definiscono “a misura d’uomo” perché è una “metropolina”, mantiene una tradizione che nelle grandi città sono scomparse dal dopoguerra. Si diventa per un giorno paesani: la processione, i portatori, la sacralità del Duomo, la partecipazione, i piatti tipici, anche napoletani, diventano salernitani; i riti dello struscio, della passeggiata, più che siciliani. Ci si veste eleganti come la migliore delle domeniche, il lungomare rivive la dignità dei ricordi e dell’appartenenza, ci si lascia confondere nella voglia di abbracciare la folla e non fa niente se c’è la fila dal pasticciere, dal macellaio, al bar o al ristorante. Nessuno è tirchio, nemmeno di sentimenti. Questa è l’atmosfera del ventuno settembre che il santo desidera dai suoi devoti. Che poi ci siano più onomastici che altrove, la scelta per il regalo è sempre meno tradizionale: l’oggetto di quella marca o di un’altra sarà sempre più gettonato della statuina o quei pochi acquisti caratteristici di via Botteghelle e via Mercanti. Ma siamo nel terzo millennio e l’economia di una giornata, che preme e premia tanti commercianti é e sarà sempre secondaria all’economia dello spirito cittadino. La corsa dei portatori sulla scalinata dei due leoni, personalmente sembra la sola sudata e sacrificata azione della festa; perciò un’asciugamani, un panno di lino, un telo in spugna che ricordi tale fatica è un omaggio significativo.