dr. Michele D’Alessio (giornalista – agronomo)
In questo periodo, a Cannalonga, un paesino di poco più di 1.000 abitanti, situato a 570 metri sul livello del mare, ai piedi del Monte Gelbison e sulle rive del torrente Mennoia, si tiene, precisamente intorno il sabato precedente la seconda domenica di settembre, la secolare “Fiera della Frecagnola” che quest’anno, a causa dell’emergenza Covid, come il 2020, viene rinviata al 2022. Un appuntamento molto sentito e apprezzato dai cilentani. Tutto in questo luogo, la posizione, il nome, il rito stesso della Frecagnola, si collega a miti e leggende, una costante di tante località del Parco del Cilento. Documenti testimoniano che la Fiera della Frecagnola – sia datata 1400. Durante il Medioevo, le fiere si affermarono soprattutto con l’appoggio della Chiesa e si svolgevano non lontano dai centri di culto. Quella di Cannalonga (resistita come poche altre nel Cilento, si pensi alla fiera che si tiene a Stio, detta della Croce), pur subendo delle modifiche nel corso dei secoli, è stata ed è, per eccellenza, la fiera del bestiame nel Cilento. Nel corso del tempo, la Fiera ha subito molteplici cambiamenti. In primis il nome, essa era prima dedicata a Santa Lucia e si teneva nel mese di dicembre, ma più tardi, nel ‘700, i duchi Mogrovejo, nobile famiglia del luogo, decisero di anticiparla al mese di settembre per le migliori condizioni metereologiche. Dal punto di vista terminologico, pare che significhi “fregatura”, perché si poteva venir “fregati” appunto, presi in giro nell’acquisto del capo di bestiame. Una persona molto legato alla fiera, che da sempre portava migliaia di persone nel piccolo borgo cilentano, fu Don Giuseppe Trotta, un sacerdote di Cannalonga, come ricorda il suo amico Prof. Gennaro Scelza, un illustre sacerdote di grande spessore morale e culturale (aveva tre Lauree), ma soprattutto un uomo di grande umanità. Don Giuseppe molto legato al paese e alla fiera, negli anni ’70, si prodigo a sue spese, ad urbanizzare la località “Piano di Orria” di Cannalonga per dare la possibilità agli abitanti più poveri di farsi una casa, questo grazie, anche all’aiuto di suo Fratello che era un noto architetto. Successivamente alla riqualificazione dell’area e visto il vasto spazio, la fiera si sposto proprio in questa località, pure per essere più vicino al centro abitato. Grazie, alla felice intuizione di Don Peppino Trotta, la fiera allargo i suoi spazi, non riguardava solo la vendita di bestiame, ma c’è una ricca abbondanza di esposizioni e vendite di vari prodotti locali, da quelli gastronomici a quelli artigianali. Nei giorni della fiera l’atmosfera di festa invade il paese, che diventa un tripudio di odori di formaggi e carne, di suoni di campanacci e degli antichi strumenti musical ed è uso mangiare in tipiche barracche, cioè degli allestimenti provvisori, che le persone del luogo preparano per ospitare i buongustai.
Il piatto clou della manifestazione è il bollito di capra (capra vudduta); la sua preparazione per gli abitanti di Cannalonga è diventata ormai un rito. È, anche, possibile degustare i salumi e i formaggi del luogo, i fusilli fatti a mano, la carne arrosto e la cusutula, ossia la tasca di vitello imbottita con formaggio di capra, pane raffermo e prezzemolo. Fiera e capra sono due cose inseparabili, così come lo sono l’abbinamento vino e capra. Secondo la leggenda, alla capra dobbiamo la scoperta del vino. Si narra infatti che Stafilo, uno dei pastori del re etolo Eneo, aveva notato che uno dei montoni si allontanava spesso dal gregge e andava a brucare i frutti di una pianta sconosciuta, e al ritorno era di aspetto più vivace. Il pastore raccontò il fatto al re, che decise di spremere i grappoli e mescolare il succo con l’acqua del fiume Acheloo. A questo nuova bevanda fu dato il nome del re; il frutto invece fu chiamato “stafilo”. Così fu inventato il vino. Oggi, al di là, di miti e leggende, si spera solo di riprendere questa tradizionale fiera e di fregare per una volta il coronavirus.
Da giovanissimo ebbi l’ onore di conoscere Don Giuseppe Trotta ( amico di mio nonno ,lo scultore Diomede Patroni) e una volta sono stato perfino a pranzo con Lui ed altri amici di famiglia di Cannalinga.