Aldo Bianchini
SALERNO – A conclusione della prima settimana di vera campagna elettorale e di battaglia politica è propizio il momento di un primo bilancio che cercherò di ripetere per le prossime due settimane prima del voto.
Dunque, nella prima settimana i vari candidati hanno già messo in campo tutto il loro potenziale sparando ad alzo zero le loro rispettive altisonanti amicizie sia regionali che nazionali. In questi ultimi sette-otto giorni Salerno ha registrato una pioggia di personaggi, più o meno credibili, a cominciare dallo stesso Vincenzo De Luca per arrivare al ministro degli esteri Luigi De Maio, passando per Matteo Salvini per finire all’incontro tra la detestata Priscilla Salerno con il candidato sindaco Michele Sarno.
La cronaca riportata da tutti i giornali e le televisioni ha mostrato a tutti, senza dubbio alcuno, che i vari personaggi, tutti, hanno per certi versi detto e raccontato sempre le stesse cose: il PNRR da distribuire con intelligenza, progetto per il digitale ed alla transizione ecologica, il lavoro nei prossimi anni, la proiezione di Salerno in tutto il mondo mediterraneo, l’export tramite il porto,, incrociare offerta e richiesta, intercettazione e gestione dei fondi europei, necessità di cambiare la classe dirigente, politica di prossimità, sviluppo economico, l filiera economica, turismo in una logica di rete, industria innovativa, commercio all’avanguardia, creare la città europea e forse planetaria, aggiornare l’impiantistica sportiva, ecc.. Per finire con Vincenzo De Luca che ha fatto la sua solita irruzione nella campagna elettorale sventolando i finanziamenti che la Regione offre a Salerno per oltre 200milioni di euro: solite promesse ? si vedrà.
Insomma tutti i candidati sindaco hanno lanciato le sfide, dissimili anche per colore e appartenenza, tutte basate, però, più o meno sulle stesse cose che data la mia avanzata età ho sentito, purtroppo, dire da sempre e soltanto in piccolissima parte realizzate; ecco perchè sempre e da sempre mi allontano dalla cronaca prediligendo il commento sulla base concreta dei tantissimi precedenti storici.
Quest’anno, comunque, tra i nove candidati sindaco c’è una novità, sarebbe da sciocchi non dirlo, che riguarda un unico candidato. Mentre per gli altri otto (Vincenzo Napoli, Michele Sarno, Antonio Cammarota, Simona Libera Scocozza, Oreste Agosto, Gianpaolo Lambiase, Anna Maria Minotti e Maurizio Basso) gli elettori hanno avuto modo nel tempo di conoscere capacità gestionale – promesse fatte e semmai non mantenute – battaglie eccessive – forzata ideologia e chiacchiere infinite, per Elisabetta Barone sul piano prettamente politico non si sa niente (mentre su quello personale e professionale tutti sappiamo della sua enorme valenza in un campo come la scuola che è determinante per le future generazioni), si sa soltanto che è scesa in politica in forza della sua lunga e provata esperienza manageriale nella scuola ed anche nell’associazionismo, e pertanto non ancora giudicabile su nessun atto di gestione amministrativa.
Questo elemento, finora sconosciuto, potrebbe essere la leva personale per rivoltare il mondo della politica salernitana che al di là delle persone e dei colori ha obiettivamente bisogno di una giravolta a 360 gradi; per dare a questo un senso concreto di novità, che sembra un intoccabile vantaggio rispetto a tutti gli altri, la Barone è chiamata ad un compito molto difficile; deve cioè riempire di contenuti il suo messaggio che sull’onda soltanto emozionale del web sta riscuotendo un notevole consenso. Ma il web, si sa, non porta voti, ovvero non porta voti necessari per vincere.
La candidata sindaco Elisabetta Barone se vuole saltare oltre l’ostacolo dovrà rapidamente giocare almeno una carta vincente che sia molto diversa e lontana da quelle già conosciute e consumate, sopra citate. In pratica la dirigente scolastica deve vestirsi di carattere e, come fa da sempre nella scuola, imporre un suo pensiero progettuale che sia totalmente diverso da tutti quelli presentati (e mai realizzati) in questi ultimi decenni. Potrebbe, ad esempio, cominciare a scrollarsi di dosso tutti quei personaggi ormai obsoleti e poco rappresentativi, ed alcuni pesantemente già scaduti nell’immaginario collettivo degli elettori. Insomma dovrebbe mettere in atto ciò che non seppe fare Pino Acocella nel famoso ballottaggio del 5 dicembre 1993 contro De Luca che, ricordiamolo, partiva ampiamente sfavorito.
Soltanto così potrà validamente contare su quel vantaggio che la distingue da tutti gli altri e che la incornicia in un alone di novità.