Aldo Bianchini
SALERNO – Il caso del giorno è la condanna in primo grado dell’ex sindaco di Eboli, dr. Massimo Cariello; una condanna durissima e fuori da ogni prassi giudiziaria consolidata. So che quanto sto per scrivere non piacerà a molti finti sostenitori della legalità ad ogni costo e del garantismo di maniera, ma ho l’età giusta per non curarmi di loro e andare oltre.
Per “oltre” intendo quel confine, mai praticamente disegnato, posto a discrimine tra la buona e la cattiva giustizia; perché, amici lettori, la condanna in primo grado, a conclusione di un di un giudizio immediato, voluto dai PM, a 6 anni e 4 mesi di carcere (di cui 4 anni e 4 mesi per la corruzione e a 2 per abuso di ufficio), per un concorso solo presuntivamente taroccato e per un indice di fabbricabilità ancora complessivamente da chiarire, fa pensare che quando arriverà il nocciolo duro del processo (tutto basato su “reati linguistici” oppure su “traffici di influenze” desunti dalle intercettazioni probabilmente taroccate alla bisogna … come ha lasciato trasparire la difesa con l’insistente richiesta di revisione delle stesse) potrebbe facilmente essere richiesta la pena dell’ergastolo; ma che dico, l’ergastolo è forse troppo poco, ci vorrebbe una pena molto più severa e definitiva come la sedia elettrica. Solo così tutti sarebbero contenti, dai complottisti ai politici, dai magistrati alla gente assetata di giustizialismo.
Si in questo Paese se tu uccidi una persona difficilmente puoi essere condannato al carcere a vita perché anche la Procura riconoscerà la prevalenza delle “attenuanti generiche” su qualsiasi altra valutazione aggravante per richiedere i classici trent’anni che poi scenderanno a venti grazie all’abbreviato. Nel caso di specie, però, la difesa di Cariello si è ritrovata improvvisamente di fronte ad una accelerazione del processo con la richiesta dei PM del “giudizio immediato” a carico soltanto dell’imputato principale, probabilmente al fine di cristallizzare la cosiddetta “pesantezza probatoria” che l’accusa pensa di avere tra le mani e di poter utilizzare il tutto anche contro gli altri 12 imputati del processo madre che aspettano con ansia e, aggiungo io, con poche speranze di scansare la pena capitale. E pensare che l’imputato, sorretto dalla difesa, era andato a quel giudizio immediato con piena consapevolezza di innocenza, tanto da non aver avanzato neppure la legittima richiesta di “abbreviato” che gli avrebbe consentito di usufruire di un corposo sconto sull’eventuale pena.
Ebbene se facciamo un po’ di calcoli e valutiamo la durezza della condanna la situazione si complica e di molto, non solo per Cariello ma anche per tutti gli altri; facile prevedere una pena molto più dura di quella inflitta per precostituire una “prova conclamata” che agli atti processuali molto verosimilmente non c’era e non c’è.
Dunque in questo Paese se raccomandi qualcuno per un concorso, se cerchi di ampliare la tua sfera di potere, vieni subito punito e pesantemente fino all’ergastolo; se uccidi qualcuno te la puoi cavare con venti anni e successive riduzioni e se spendi decine di milioni di euro per costruire un’opera pubblica molto contestata (il Crescent !!) e per distribuire denaro a desta e a manca vieni assolto con formula piena. Ma lo sappiamo tutti, la fissa per alcuni magistrati è quello che una volta si chiamava semplicemente ”voto di scambio” e che oggi molti PM amano definire “reato di scambio elettorale politico-mafioso”, e con l’aggravante mafiosa fioccano arresti preventivi da far girare la testa a chiunque.
Qualcosa non mi torna e, al di là del caso Cariello in se, la considerazione più giusta da trarre è che dietro ogni inchiesta contro gli amministratori c’è sempre un “complotto politico” articolato e pericoloso (leggasi a caso Linea d’Ombra a Pagani e Sarastra a Scafati, solo per citarne alcuni) che ad Eboli, per una serie infinita di circostanze aggravanti, ha trovato la sua sedimentazione naturale contro un sindaco ancora nel cuore dei cittadini nonostante si sia macchiato di chissà quale efferato omicidio volontario.
E da qui discende con facilità anche la seconda considerazione della fiducia nella giustizia ormai ridotta al lumicino perché è amministrata dagli uomini; su questo e solo su questo non sono in linea con l’avv. Cecchino Cacciatore che, a nome del suo assistito, ha pronunciato la fatidica frase “ho fiducia nella giustizia e nei magistrati” soprattutto per tamponare l’onda lunga di un consenso popolare molto fastidioso per la Pubblica Accusa; un consenso che ha trovato la sua estremizzazione prima negli applausi pro Cariello nel corso della presentazione di un libro di poesie in uno stabilimento balneare, e poi con la diffusione tra la gente e sui social di un volantino sempre pro Cariello; il volantino, poco social e molto aggressivo, all’inizio recita così: “Toghe amiche di certi potentati vogliono forse decidere chi deve essere il nuovo sindaco di Eboli e fare un favore, in un prossimo futuro, al rampollo del solito potentato locale ?”.
Il punto di domanda finale ne consente, ovviamente, la pubblicazione; ma al di là della concretezza delle parole per questo caso, non si può non rilevare che quelle sono le parole che corrono frequentemente nell’immaginario collettivo della gente ormai molto distante da quel bulgaro consenso che consentì ad alcuni magistrati di fare “lotta politica impropria” fin dagli albori di tangentopoli.
Come avete potuto tranquillamente leggere non mi sono inoltrato, almeno per il momento, nei meandri oscuri del processo quello già deciso e l’altro che deve ancora arrivare; ci sarà tempo e modo per farlo.
Illuminata analisi,peccato che la Magistratura,che in questo caso dovrebbe porsi qualche domanda, farà finta di nulla,di non aver visto,di non aver letto.!!!