Angelo Giubileo (avvocato – scrittore)
Il saggio, dal titolo la metamorfosi, un agile pamphlet edito da Laterza, è uscito una settimana prima del centenario della fondazione del PCI (Partito Comunista d’Italia) concretizzatasi a Livorno in data 21 gennaio 1921. Autore è il noto filologo, storico e saggista Luciano Canfora, altresì noto per la sua costante e lunga militanza di vertice comunista, dal PDUP al PCI al PDCI al PRC e altri.
L’autore definisce il proprio libro “un libro di storia antica. Ciò perché intende riflettere sulla vicenda di un partito politico” (5). Che, in quanto tale, non può che avere un inizio e una fine. E non c’è dubbio che la storia del PCI e del comunismo internazionale sia nata dalle “convinzioni e direttive di Marx e di Engels”, pur dichiarando l’autore che immediatamente “dopo la rivoluzione europea del 1848, il Partito socialista-democratico tedesco (sia divenuto) modello di tutti i moderni partiti continentali” (11), in ragione di una più forte e direi essenziale direttiva originata “dalla trasformazione costante della realtà effettuale” (13). Qualcuno avrebbe potuto pensarci prima, ma la storia è questa.
In base a queste premesse, secondo il giudizio dello storico nel 1921 il PCI nasce non già con l’obiettivo della “rivoluzione” (leninista), ma allo scopo di tradurre quotidianamente in atti la stessa forma di “gradualismo” generata, secondo Togliatti, da “quel profondo cambiamento che è avvenuto nella posizione della classe operaia rispetto ai problemi della vita nazionale” (18). Ed è per questo, sempre a giudizio del “Migliore”, che occorre: “a) sradicare il fascismo dall’Italia, b) che il Pci dev’essere <nuovo> e <nazionale>” (21). La scelta finalistica diventa pertanto quella della “democrazia progressiva”, “scelta definitiva che comportava ovviamente di lasciar cadere l’istanza di una parte del vertice partigiano, comunisti in primis, di un ruolo (o di un peso) governativo del Cln” (34).
Nonostante la sconfitta elettorale del 1948, che appare senz’altro come una sconfessione del <partito nuovo> (togliattiano), il dado ormai è tratto. L’autore aggiunge soltanto che: “… Diremo soltanto che aver salvaguardato quella linea dopo l’attentato del 14 luglio ’48, dopo il colpo di mano al varo della <legge truffa> (dicembre ’52-marzo ’53), dopo il terribile ’56 e dopo la svolta a destra della Dc (Tambroni, 1960), è la prova di una scelta irreversibile. Scelta alimentata però anche dall’illusione che, prima o poi, sarebbe tornata in vita l’alleanza del 1944-47” (49). Anche riguardo alla stretta attualità, e sotto ben altre forme, che l’autore definisce liberal-liberiste, consolidatesi con la nascita del PD. Ma questa è storia recente, alimentata da una nuova illusione, manifestata dalla realtà dell’attuale Unione Europea.
La dimensione internazionale della politica, seguita agli accordi posti in essere alla fine della Seconda guerra mondiale, non poteva però non sovrastare le scelte nazionaliste, anche quelle italiane, e così – insistendo nella scelta del compromesso storico – il Pci “non ripiega sulla <socialdemocrazia> (parola aborrita e resa odiosa in Italia dalla scissione di Saragat e dalla scadente qualità del suo partito) …” (51) (Breve parentesi: si tratta qui, evidentemente e a distanza di cento anni, di una ferita che agli sconfitti della storia ancora brucia e fa male!). E dunque: “il <compromesso storico> … Era, quella proposta, un rilancio della politica togliattiana verso le <masse cattoliche>, presentata però sotto la infelice etichetta del <compromesso>, seppur nobilitata dall’aggettivo <storico>” (65).
Una storia di pensiero e quindi ideale, quella togliattiana, che, a giudizio dell’autore e di molti altri devoti comunisti, giunge, in Italia, dall’avvento del fascismo alla stretta attualità odierna: “… dopo aver respinto la previsione intorno alla polarizzazione delle classi (non sono solo due) e aver ribadito che non si può <spiegare tutta la storia umana col determinismo economico> -, Mussolini affermò <sulla scorta di una letteratura socialista recentissima>, che <incomincia adesso la vera storia del capitalismo>” (72). Per poi concludere, l’autore: “L’analisi abbozzata da Mussolini collimava, invece, nella sostanza con quella della destra socialista italiana ed europea” (73). E tuttavia: tutti i nomi hanno la loro storia reale e non solo ideale.
Ma, l’excursus dell’autore non finisce qua. Dato che, in sede di bilancio definitivo, di fronte alla storia che va avanti, piuttosto si chiede: E ora?
Egli stesso così risponde alla domanda: “il bilancio è che la socialdemocrazia ha recepito non poche istanze e mimato non poche conquiste empiriche del comunismo fattosi realtà statale, mentre a sua volta il comunismo o è rifluito, di fatto dissolvendosi, nell’alveo di partenza (il caso italiano è, in tal senso, emblematico) o ha malauguratamente assunto, in alcune aree dell’Asia, forme aberranti (quale fu la funesta meteora Pol Pot in Cambogia). Ma oggi non è più tempo di recriminazioni o di puntualizzazioni storiografiche. La domanda è solo una: potrà la odierna socialdemocrazia (fenomeno in prevalenza europeo), scoordinata com’è e frastornata, reggere alla prova della vittoria planetaria del capitale finanziario?” (86).
Risposte che, modestamente e umilmente, direi che dovremmo smettere di chiedere a chi, in passato, o non ha compreso il senso di ciò che accadeva ed è accaduto oppure ha alimentato un’illusione rivelatasi non tanto inutile quanto piuttosto tragica.
Angelo Giubileo