Dr. Pietro Cusati (giurista-giornalista)
Livorno 11 aprile 2021. Sono passati 30 anni dal disastro della Moby Prince e ancora non si sa come sia potuto succedere. Una tragedia rimasta un mistero , i motivi ancora oggi non sono chiari e finora senza colpevoli ? Moby Prince, centoquaranta persone, se ne salvò soltanto una,Alessio Bertrand, un mozzo napoletano m,passeggeri ed equipaggio, persero la vita trenta’anni fa ,ore 22.25 del 10 aprile del 1991, in seguito alla collisione con una petroliera e all’incendio che ne scaturì. I soccorsi arrivarono in ritardo? E’ stato il disastro più grave nella storia della nostra navigazione civile. Il popolo italiano non può dimenticare. Come non dimentica la città di Livorno, che vide divampare il rogo a poche miglia dal porto e assistette sgomenta alla convulsa organizzazione dei soccorsi e al loro drammatico ritardo. Lo ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La Moby Prince era un traghetto della compagnia Navarma. La sera del 10 aprile del 1991 la nave aveva lasciato il porto di Livorno diretta a Olbia, con a bordo 65 membri dell’equipaggio e 76 passeggeri. La AGIP Abruzzo era una petroliera da 127mila tonnellate lunga il doppio e alta tre volte la Moby Prince, ed era ancorata a un paio di miglia marine dalla costa, lungo la rotta del traghetto. Ancora oggi a trent’anni di distanza non si è ancora riusciti a fare definitivamente chiarezza. Proverà a fare luce sul più grave incidente della marineria italiana una nuova commissione d’inchiesta che ha avuto il via libera proprio in questi giorni dalla Camera dei deputati.amiliari delle vittime continuano a chiedere che il Parlamento indaghi ancora per fare una volta per tutte chiarezza. Ha lavorato una commissione parlamentare le cui conclusioni, arrivate nel 2018, hanno portato anche alla riapertura delle indagini della Procura di Livorno sui reati non prescritti. I familiari chiedono ora una bicamerale .La commissione bicamerale potrebbe servire per ricostruire il contesto di quella notte. In occasione dei 30 anni dal disastro, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto che «sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce».La Guardasigilli, Prof.ssa Marta Cartabia: “Un disastro che ancora oggi presenta punti oscuri che l’Italia ha il dovere di chiarire” .La ministra della Giustizia ha inviato un messaggio alle associazioni dei familiari delle vittime del Moby Prince: “Il disastro del Moby Prince resta una ferita aperta per il nostro Paese, che non ha mai smesso di cercare quanto possa servire a illuminare i punti ancora oscuri nella ricostruzione dei fatti. Nuove aspettative sono riposte nell’ultima indagine aperta dalla Procura di Livorno alla luce delle conclusioni dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita presso il Senato della Repubblica”. “Cari familiari delle vittime, desidero farvi giungere la mia voce, in una ricorrenza così dolorosa, per ciascuno di voi e per tutto il Paese ,ha scritto la Guardasigilli Cartabia, sono trascorsi 30 anni dal giorno in cui nella rada di Livorno 140 persone persero la vita in un disastro che ancora oggi presenta punti non del tutto chiariti. Erano madri e padri, figlie e figli, sorelle e fratelli, amiche e amici che ancora vivono in una memoria di affetti, mai scalfita dal tempo. Nel loro nome, tutti voi , dopo tre decenni , aspettate ancora di conoscere fino in fondo le cause di ciò che successe quella sera del 10 aprile 1991. Questa domanda di conoscenza e, quindi, di giustizia richiama a un impegno che l’Italia ha il dovere di compiere“. “Come dice papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ , scrive ancora la ministra Cartabia – è ‘un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune’. Le difficoltà sono tante e il tanto tempo passato di certo non aiuta, ma sono certa che i magistrati di Livorno sapranno affrontare questo rinnovato impegno con tutta la dedizione e la professionalità che il compito di rendere giustizia richiede.