Stefano Antonello Aumenta
(dirigente bancario – presidente Pro Loco Sassano)
Pensavo che i miei ricordi delle lezioni della Professoressa Vuolo, sul finire degli anni ’80 mi sarebbero servite poco, specialmente lo studio quasi mnemonico dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Anche per questa cosa mi sono sbagliato. Infatti il Manzoni, parlando dei capponi che Renzo avrebbe dovuto regalare all’Azzeccagarbugli, cosi scriveva :
“… e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura …”
In questi giorni l’acceso dibattito in coso mi ha fatto ricordare che alcuni politici hanno incominciato, anche loro, a beccarsi tra di loro, circa la possibilità di avere una infrastruttura importantissima nei nostri poveri comprensori.
Si dimentica, purtroppo, che la fine di quei capponi era già segnata, in quanto sarebbero finiti tutti in pentola e far, quindi da saporite pietanze, per altri.
Spero che noi, povera gente della strada, non faremo la stessa fine, ovvero, quella che fanno i barili, quando altri animali si scalciano.
Non voglio entrare minimamente nella polemica, in quanto ritengo che la gente si sia fatta una propria idea della cosa, senza che improvvisati “statisti” si ergano da un pulpito inesistente. Il Cilento ed il Vallo di Diano non sono l’angolo nord orientale di Hyde Park a Londra, detto appunto Speakers’ Corner, dove chiunque può fare un comizio. Ad ognuno gioverebbe ricordare cosa, entrambi i due territori, hanno contribuito a creare, in vari settori ed ora tutti ne traiamo benefici.
Al posto di unire le forze per avere l’unica cosa che è possibile fare, nel più breve tempo possibile, frapponiamo problemi di un campanilismo infantile che, ritarderanno o, peggio, bloccheranno i lavori.
Mi fa particolarmente male ammettere che ci stiamo comportando proprio come il Sud viene definito dal Centro Studi Borgogna con sede a Milano in un articolo pubblicato il 4 marzo u.s., sul Sole 24 Ore, a cura di Federico Maurizio D’Andrea.
A parte la circostanza che, un terzo dell’articolo, parla della criminalità del Sud, come se nel Centro e nel Nord Italia ci fossero solo angeliche figure e da noi loschi, brutti e sporchi individui; la restante parte dello studio, evidenzia, e questa volta non si sbaglia, che al Sud non sappiamo attrarre i capitali degli imprenditori, ma, soprattutto, non sappiamo programmare le opere da realizzare.
Da ultimo il titolo di questo pezzo che si commenta da solo è questo : “L’Eterna Questione Meridionale, una scommessa per vincere al Sud”.
Non mi dilungo più, in quanto ciascuno di Voi che ha avuto la compiacenza di leggere questo articolo, ne avrà tratto una personale interpretazione e fatto personalissime riflessioni a riguardo.
Alcune volte, però, i cantautori sanno dire in poche parole concetti che meriterebbero volumi interi.
Infatti la canzone del bravissimo Eugenio Bennato, tratta proprio dall’album “Questione Meridionale” NincoNanco, fa al nostro caso e ci induce a meditare, come consigliava Maurizio Costanzo, circa quaranta anni or sono……….
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
Sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
1859, muore il vecchio re Borbone
E sul trono va suo figlio, 23 anni, ancora guaglione.
E’ il momento di approfittare di questo vuoto di potere,
Di quel regno in mezzo al mare difeso solo dalle sirene.
E u Banco ‘e Napoli è l’ideale per rifarsi delle spese,
Per coprire il disavanzo della finanza piemontese.
E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
E si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
E Ninco Nanco deve morire perché la storia così deve andare
E il Sud è terra di conquista e Ninco Nanco nun ce po’ stare,
Sarà una spina nel fianco Ninco Nanco quando campa,
Sarà una spina nel cuore Ninco Nanco quando muore.
E lo Zolfo di Sicilia e i cantieri a Castellammare
E le fabbriche della seta e Gaeta da bombardare.
E’ l’ideale che fa la guerra, una guerra dichiarata
Per vedere chi la spunta tra il fucile e la tammurriata,
E tammurriata è superstizione, questa storia deve finire
E qui si fa l’Italia o si muore e Ninco Nanco deve morire.
E per sconfiggere il brigantaggio e inaugurare l’emigrazione
Bisogna uccidere il coraggio e Ninco Nanco è meglio che muore.
Perché lui è nato zappaterra e ammazzarlo non è reato
E dopo un colpo di rivoltella l’hanno pure fotografato.
E la sua anima è già distante, ma sul suo volto resta il sorriso,
L’ultima sfida di un brigante: “Quant’è bello murire acciso”.
E Ninco Nanco da eliminare e se lui muore chi se ne frega,
Sulla sua tomba neanche un fiore, sulla sua tomba nessuno prega.
E Ninco Nanco da eliminare, che non si nomini più il suo nome,
Sia maledetta la sua storia, sia maledetta questa canzone.
E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
E si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale.
7 marzo ’21
Stefano Antonello Aumenta
Il Presidente della Pro Loco di Sassano (SA),il Dott. Stefano Antonello Aumenta,nel pregevole articolo ha trattato un tema storico che affligge il nostro SUD sin dall’unità dello Stato Italiano,un paese a due velocità, la cosiddetta questione meridionale cioè il dislivello economico con il NORD. Naturalmente il Mezzogiorno di oggi non è certamente quello del 1861. La rete stradale meridionale era ed è inferiore quantitativamente e qualitativamente a quella settentrionale, ma soprattutto è importante il ritardo del Sud nella dotazione delle ferrovie che è un fattore decisivo ai fini dell’industrializzazione. La rete ferroviaria al Sud si può dire che è quasi quella del 1870. Il Nord è cresciuto molto di più del Sud. Quindi il Sud soffre nel campo del lavoro, dei trasporti ,della sanità,della Scuola e il divario del PIL con il NORD aumenta in maniera esponenziale. A questo punto il Meridione con una economia agricola può ancora recuperare il ritardo dal Nord ? Il grande errore è stato a mio avviso nell’aver fatto la lotta alla grande industria, perché un conto è limitare i danni ambientali, ecologici che da essa derivano, un conto è rinunciare in toto ai suoi benefici in termini di reddito e di occupazione?
L’intervento del dr. Stefano Antonello Aumenta riporta alla ribalta il tema della Questione meridionale, annosa querelle cominciata fin dagli albori dell’Unità d’Italia nel 1861.
In precedenza, come ci veniva insegnato già sui banchi di scuola, i nobili intenti degli intellettuali, della classe dirigente e dei patrioti risorgimentali, che si batterono per l’affermazione dei loro grandi ideali, miravano a creare una nazione non più divisa in tanti staterelli, ma coesa e avviata a diventare una media potenza europea con uno sviluppo socio-economico e infrastrutturale uniformemente distribuito su tutto il suo territorio peninsulare e insulare.
Si sa tuttavia che non fu così. Anzi i primi anni furono contrassegnati da scontri e violenze fra ambo le parti (esercito piemontese contro borbonici non allineati e viceversa) che contribuirono a creare rivalità, diffidenze e pregiudizi spesso immotivati.
L’argomento è stato oggetto di un’ampia letteratura. I fatti, a seconda dei punti di vista, sono stati presentati sempre sotto ottiche diverse, tese a minimizzare da una parte e a drammatizzare dall’altra.
Contro quelle che sono state classificate come le esagerazioni dei cosiddetti autori neo borbonici, tacciate oltretutto di poggiare su prove documentali inesistenti o appositamente e approssimativamente ricostruite, sono apparsi saggi e pubblicazioni di altri studiosi che, forti di documentazioni a loro dire sicuramente più probanti, hanno presentato altri aspetti delle vicende avvenute nella seconda metà dell’Ottocento.
Il recente saggio di Dino Messina “Italiani per forza. Le leggende contro L’Unità d’Italia che è ora di sfatare” è uno di questi e non è il primo né sarà l’ultimo lavoro che si prefigge di dare una diversa e reale dimensione ai fatti avvenuti all’alba del nuovo Regno d’Italia.
Egli smonta così le tante menzogne che dal suo punto di vista si sono costruite intorno alle vicende accadute in quegli anni e in particolare per quanto riguarda tutto quanto viene detto circa i paesi messi a ferro e fuoco, le stragi, gli eccidi commessi dai piemontesi, le torture e le sevizie praticate nelle carceri del nord.
Non si può mettere in dubbio un lavoro di ricerca condotto con serietà e competenza, per dimostrare che l’intento degli artefici della nuova nazione era non di assoggettarne una parte, ma di creare una realtà unitaria che da nord a sud assumesse realmente i connotati di uno stato moderno unito e uniformemente strutturato.
Si pone però una domanda che non vuole essere polemica, ma solo intesa a introdurre un tassello di chiarificazione.
C’è stato un lungo dibattito sul cosiddetto primato socio-economico e industriale del Regno delle due Sicilia rispetto agli altri Stati e in particolare allo Stato sabaudo? Alcuni sostengono che non sarebbe tutto vero e anzi che forse occorrerebbe fare un ridimensionamento di certe convinzioni.
Si riconosce ad esempio che la ferrovia Napoli-Portici vanta il primato di essere stata la prima in Italia, ma non va ignorato che già allora il nord disponeva di 1000 km di strade ferrate mentre nel napoletano ce n’erano solo 100.
Ugualmente, da altri esempi si tende a dedurre che in realtà già esisteva uno squilibrio fra le due componenti del nuovo Stato. Tuttavia non ci fu un vero spirito unitario e poche, se non di minore impatto, furono le azioni tese a eliminare le distanze esistenti. Non si tenne conto delle esigenze globali da soddisfare per una armonica crescita di tutto il nuovo territorio nazionale e si cominciò a privilegiare interventi di infrastrutturazione e industrializzazione principalmente e massicciamente al Nord.
Un solo esempio nel settore delle comunicazioni.
Nei primi quarant’anni del Regno, ben quattro trafori alpini e relative vie di accesso ferroviarie e viarie furono aperti per agevolare i rapporti transfrontalieri con i paesi esteri confinanti a nord. Si crearono così importanti canali di comunicazione in grado di agevolare crescita e sviluppo per i territori coinvolti.
Per gli equivalenti al sud, cioè i porti e le strutture retroportuali, comprese efficienti vie di comunicazione di medio e lungo raggio, niente o quasi fu fatto nello stesso arco di tempo. Eppure anche la frontiera meridionale poteva rappresentare una interfaccia produttiva nei rapporti con i paesi dell’area mediterranea.
Invece, un malinteso concetto che l’economia del sud doveva essere basata solo o principalmente sulle attività agricole fece perdere di vista che la nuova Italia, con la sua configurazione e collocazione, era anche se non soprattutto un paese marittimo e come tale doveva esercitare sul mare un proprio potere, non dico militare, ma certamente mercantile.
Un potenziamento dei porti al sud sarebbe stato congeniale per lo sviluppo e il potenziamento di tale settore, con tutte le benefiche ricadute sull’economia dei territori.
Invece sì cominciò a consolidare un concetto per cui il Sud poteva aspettare quando si trattava di ammodernare il paese. Di conseguenza, si poteva tollerare l’esistenza di un gap fra le parti.
Esso tuttora appare di difficile eliminazione, nonostante si facciano degli sforzi, anche notevoli ma non sempre adeguatamente coordinati e condivisi, per superare una simile impasse.