Aldo Bianchini
SALERNO – La principale accusa mossa dalla procura Antimafia di Salerno a carico dell’ex sindaco di Scafati, dr. Angelo Pasqualino Aliberti (detto Pasquale), è quella di aver creato una intricata rete di rapporti con la camorra di Scafati e zone limitrofe ai fini di un delittuoso scambio politico-elettorale non solo per favorire la sua rielezione a sindaco ma anche per supportare la carriera politica della moglie Monica Paolino. Nella varie fasi della grottesca vicenda, tra richieste di arresto, non accoglimento del GIP, riconferma del tribunale del Riesame, pronunce della Cassazione, reiterate richieste di arresto della Procura Antimafia, si è arrivati addirittura ad impedire l’utilizzo di Facebook e dei social in genere. E si giunse anche al ritorno in carcere.
Prima di andare avanti con il discorso è importante riportare alla mente il clima arroventato e decisamente persecutorio nei confronti di Aliberti, un clima che indusse il suo ottimo difensore avv. Silverio Sica (attuale presidente dell’Ordine degli Avvocati di Salerno) a dichiarare:
“La Procura non ha un solo elemento per tali affermazioni. Non c’era una ragione al mondo per decidere che quest’uomo andasse in carcere. Ricorreremo in Cassazione non condividiamo le motivazioni del provvedimento che ci sembra particolarmente gravoso per una persona che ritengo del tutto innocente. Se c’è un marito che riesce ad influenzare la moglie si faccia avanti. La Procura non ha un solo elemento per simili affermazioni. Parliamo poi di un consigliere regionale di minoranza”.
Ma c’è anche tutta un’altra storia, quella dell’acquisizione al patrimonio comunale dell’area sulla quale è sorto il “centro sociale polivalente San Pietro”; acquisizione a costo zero e con spese a carico del proprietario per la demolizione del manufatto esistente sulla stessa area.
Il problema c’era, era gravissimo, anche se tutti facevano finta di niente: l’area acquisita era di proprietà di tale Vincenzo Nappo, detto “Il Nonno” (braccio destro di Franchino Matrone detto “a belva”); i sindaci che avevano preceduto Aliberti, in primis Francesco Bottoni e Nicola Pesce, avevano driblato il problema e la patata bollente era caduta tra le mani del baldanzoso trentottenne Pasquale Aliberti eletto sindaco, per la prima volta, nell’aprile 2008 che si vide anche costretto ad annullare una richiesta di delocalizzazione del centro sociale avanzata dal suo assessore Mario Santocchio e dal suo consigliere Pasquale Coppola; questi ultimi due trasformatisi poi in decisi accusatori di Aliberti. Addirittura in quel consiglio era presente lo stesso Vincenzo Nappo che secondo molti non poteva essere più offensivo data la sua età avanzata; anche qui si sbagliavano perché Nappo è stato poi condannato, poco prima dell’arresto di Aliberti avvenuto il 23 gennaio 2018, per fatti di camorra ma non è andato in carcere per la sua età.
Questo il quadro che la Procura Antimafia conosceva benissimo e del quale non ha mai inteso prendere atto; con serena pazienza lo sta facendo, forse, oggi il Tribunale dinanzi al quale Aliberti è a giudizio.
Tutto questo ha indotto Pasquale Aliberti a scrivere e diffondere sui social alcune considerazioni, che di seguito mi accingo a pubblicare, raccomandando agli affezionati lettori di questo giornale “non abbiate paura di leggere, nessuno vi vedrà”; Aliberti ha creduto ciecamente in quello che ha fatto ed ha costantemente ritenuto che “ne vale sempre la pena lottare per affermare la verità, anche a costo di finire in galera”; e lui, per la verità, ha lottato ed è andato in galera.
- Ricordo semplicemente che quando realizzammo il centro sociale a San Pietro, #fuggivano tutti, avevano tutti paura di Vincenzo Nappo braccio destro di Franchino Matrone detto a belva. I sindaci che mi avevano preceduto avevano lasciato addirittura che lo stesso realizzasse un’opera abusiva in una proprietà che il comune doveva espropriare.
- In Regione mi dissero il finanziamento era ormai quasi perso e che quei €800000 sarebbero ritornati in Europa se non avessimo portato l’esproprio per il progetto esecutivo per andare in appalto: avevano sempre, stranamente, sbagliato la procedura.
- Espropriare significava pagare il Nappo. Lui non voleva sentire ragioni e anzi attraverso consiglieri comunali mi inviò una lettera firmata da 500 persone che conservo tra i miei ricordi più preziosi e che avevo sempre nascosto ai miei familiari.
- Ricordo una frase di quella lettera: “…. la Piazzetta del Gesù è un cuore che batte e noi dobbiamo ringraziare Don Vincenzo…” (Nappo, ndr). Sì proprio così, bisognava ringraziare il Santo patrono di San Pietro per il suo abuso edilizio, nel quale voleva realizzare un grande business ed evitare che si costruisse un’opera pubblica.
- Feci l’acquisizione a costo ZERO per il patrimonio comunale, andammo lì con le ruspe, da soli, nessuno voleva essere presente, avevano tutti paura anche perché poi dopo scoprimmo, dalle intercettazioni dei Ros che Don Vincenzo gridava: “… gli dobbiamo far scorrere il sangue a quell’uomo di m**** del sindaco … il sangue gli deve uscire“.
- Nonostante queste intercettazioni la DIA mi abbandonò, disse che Don Vincenzo era un vecchietto, pur di portarmi in carcere. Un vecchietto che, invece, nel 2017, dopo aver sciolto il comune, proprio loro portarono in carcere per altre vicende giudiziarie di camorra. Arrestato Aliberti era risorto, come Gesù è diventato di nuovo camorrista?
- Rimasi solo, tutti quanti, destra e sinistra, sostennero Don Vincenzo Nappo, il braccio destro di Franchino Matrone detto a belva. Anzi mi misero sul patibolo perché si diceva che la confisca era stata sbagliata.
- Oggi, a distanza di un decennio, il Consiglio di Stato mi ha dato ragione è San Pietro può godere del suo centro sociale che grazie agli anziani e al Centro Raggio di Sole è diventato un punto di riferimento per quella comunità.
- Anche rispetto a questa accusa, anzi a queste presunzioni, ancora una volta dimostro che per me la Camorra è sempre stata una montagna di m****. Ma leggendo gli articoli di giornale mi chiedevo: veramente ne è valsa la pena?.
Una domanda drammatica che Aliberti pone a se stesso dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che quei fatti hanno causato alla sua famiglia ed ai suoi affetti più cari; una domanda alla quale l’ex sindaco da una risposta decisa: “Si, ne è valsa la pena perché la verità è figlia del tempo e la mia coscienza vale più delle loro bugie, della loro violenza e del carcere che ho subito, al pari di don Vincenzo Nappo e Franchino Matrone detto a belva. Lo stato non esiste”.