Aldo Bianchini
SALERNO – Una donna e un uomo quando decidevano di stare insieme, almeno fino agli anni ’70, non potevano scegliere se non la via del matrimonio; erano rari i casi di convivenza (che per me rimane la cosa più giusta e semplice), negli anni ’50 fece scalpore la storia d’amore tra Fausto Coppi (campionissimo del ciclismo) e la cosiddetta “Dama Bianca” (Ilaria Occhini) che portò finanche ad una condanna bigotta in sede penale per i due “concubini”. Ma erano casi rarissimi, riguardavano soprattutto campioni mitizzati dello sport e soggetti ricchi o nobili; ma ciò non li esentava da critiche feroci.
L’uomo recitava sempre la parte del leone e quasi tutti i codici penali del mondo contemplavano il famigerato “delitto d’onore”che consentiva all’uomo-padrone di uccidere la propria compagna quando si sentiva tradito; un femminicidio legale in piena regola che la moderna civiltà ha cullato in seno per secoli prima di arrivare alla semplice cancellazione di quell’articolo odioso. E subito c’è stato un lungo periodo nel corso del quale la problematica del femminicidio sembrava del tutto scomparsa dalla nostra società
C’era una frase d’ordine che all’epoca quasi bloccava, ovvero congelava le possibilità per una donna di lasciare con giustificate motivazioni il marito (anche se questi era infedele, violento, disamorato, ecc.): “Finchè morte non ci separi”; una frase che, ben inteso, si pronuncia ancora oggi anche se oggi appare tremendamente ridicola rispetto ad una cinquantina di anni fa. Difatti il divorzio, le leggi sulle coppie di fatto, le numerose disposizioni a tutela della donna, il codice rosso, hanno finalmente ridato alla donna una identità che non era mai riuscita ad avere nell’ottica di una parità di genere che dovrebbe essere nel dna di tutti noi.
Quella frase ridicola è un pò come quel ridicolo tratto di rossetto che nell’ultima giornata di campionato di calcio (come negli anni precedenti) è comparso sul viso dei calciatori; un pò penosa la scena nel corso della partita Crotone-Lazio disputata sotto una tempesta d’acqua che ha sciolto i tratti di rossetto invadendo fastidiosamente tutto il viso.
Così come ridicole, sempre a mio avviso, sono le scarpe e le panchine rosse; certo sono effetti simbolici, ma non valgono a niente se non accompagnati da una diffusione profonda della cultura della parità tra uomo e donna; una cultura che deve necessariamente entrare in tutte le scuole, fin da quelle dell’infanzia, per educare le nuove generazioni.
Le donne in genere ed in particolare le “consulte delle donne” invece di pretendere l’installazione di una panchina rossa in ogni paese, o di una manifestazione con le scarpe rosse, dovrebbero impegnarsi, ed a fondo, con convegni e seminari di natura culturale sul perché, dopo la fase di quasi azzeramento delle uccisioni delle donne dopo la cancellazione della legge sul delitto d’onore, questo becero fenomeno stia avendo una recrudescenza ingiustificabile in questi ultimi anni. Scoprirebbero che, forse, dal fenomeno non sono estranee i rotocalchi settimanali e le tante trasmissioni televisive (a cominciare dai reality) in cui le donne e tante stelle della moda, dello sport, del giornalismo e del jet set internazionale, fanno a gara per esibirsi in messaggi diseducativi che fanno a cazzotti con le poche iniziative delle donne impegnate sul fronte della parità.
Le donne stanno conquistando posizioni invidiabili anche nel governo di tanti Paesi ma dovranno ancora lavorare moltissimo per far capire ad uomini bastardi, incivili e assassini che le donne vanno toccate soltanto con i fiori.
Soltanto così la “giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2020” potrà trovare la sua ragion d’essere; in caso contrario finirà con una pizza e una birra; ovvero la fine che ha già fatto, e da tempo, la festa della donna che ogni anno si celebra l’8 marzo e della quale, perfino tra le donne, si sono persi lo spirito e la storia.