Giovanni Falci
(Avvocato penalista – Cassazionista)
Le partite perse a tavolino di Napoli e Reggiana aprono una seria riflessione giuridica sulla prepotenza della FIGC, e, più in generale, del mondo dell’economia su quello della salute e della vita delle persone.
Esiste, infatti, una legislazione comunitaria, c.d. CEDU in acronimo, che ha un rango nella gerarchia delle norme giuridiche superiore alla Legge nazionale.
In materia di salute delle persone, se è vero che sul piano “regionale” europeo la tutela del diritto alla salute passa anche per la CEDU (mi riferisco agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione) e la Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché per la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 35), è altrettanto vero che tale tutela trova il suo spazio più esteso e privilegiato nella Carta sociale europea che contempla, sin dal 1961, una disposizione dedicata espressamente al “Diritto alla protezione della salute” (Articolo 11).
L’Articolo 11 della Carta sociale merita attenzione sia in se stesso, in quanto definisce gli obblighi degli Stati che si sono impegnati a rispettare il diritto alla salute (ossia 42 dei 43 Stati parti della Carta; l’Armenia è l’unico Stato parte a non aver accettato l’Articolo 11), sia perché nell’interpretare e applicare tale articolo il Comitato europeo dei diritti sociali – l’organo di controllo della Carta sociale – ha progressivamente individuato e chiarito i contenuti concreti e le implicazioni dell’obbligo per lo Stato di garantire la salute, ed anche il valore e la portata giuridica di quest’obbligo.
Ciò è avvenuto nel contesto sia della valutazione da parte del Comitato dei rapporti presentati periodicamente dagli Stati, sia dell’esame e della decisione di alcuni “reclami collettivi” presentati contro gli Stati per violazione dell’Articolo 11.
Nella Parte I della Carta sociale, gli Stati parti hanno innanzitutto riconosciuto che “Ogni persona ha diritto di usufruire di tutte le misure che le consentano di godere del miglior stato di salute ottenibile.”
Ora come si potrà conciliare tale disposizione normativa che è legge vigente nel nostro Stato con il provvedimento del Giudice Sportivo?
Dovrebbe forse aggiungere che il disputare una partita di calcio in una situazione sconsigliata e anzi inibita dall’ASL consente di godere del miglior stato di salute ottenibile?
Nell’Articolo 11 gli Stati si sono poi impegnati ad “assicurare l’esercizio effettivo” di questo diritto mediante l’adozione di misure adeguate, volte in particolare: “1) ad eliminare per, quanto possibile le cause di una salute deficitaria; 2) a prevedere consultori e servizi d’istruzione riguardo al miglioramento della salute ed allo sviluppo del senso di responsabilità individuale in materia di salute; 3) a prevenire, per quanto possibile, le malattie epidemiche, endemiche e di altra natura, nonché gli infortuni.”
Va premesso che, quanto alla nozione di salute, nell’interpretazione applicativa della Carta sociale si fa riferimento a quella stabilita nella Costituzione dell’OMS – accettata da tutti gli Stati europei – che copre, com’è noto, il benessere sia fisico che mentale (quindi va tutelato anche il Giudice Sportivo).
È bene segnalare, inoltre, che per lo Stato l’impegno giuridico derivante dalla Carta sociale va inteso essenzialmente nella dimensione collettiva e generale di garantire alla popolazione il migliore stato di salute possibile, piuttosto che come diretto a garantire a ciascuna persona individualmente un diritto soggettivo alla protezione della salute.
Ora, come risulta dal testo dell’Articolo 11 e come ha notato il Comitato europeo dei diritti sociali (Conclusions 2005, Statement of Interpretation on Article 11§5), l’adempimento dell’obbligo di rispettare il diritto alla protezione della salute richiede l’adozione di misure positive (di carattere legislativo, amministrativo, formativo e tecnico-sanitario) idonee a raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla disposizione.
Come si colloca in questo scenario il provvedimento del Giudice Sportivo che non ha ritenuto sussistere il diritto alla protezione della salute e che ha, in pratica, fatto violare allo Stato Italiano la disciplina comunitaria.
Il quesito è se può sussistere un organismo amministrativo che faccia discendere conseguenze negative nei confronti di chi vuole tutelare la propria salute.
In tutte le altre situazioni (tribunali, scuole, uffici) esiste il cd legittimo impedimento collegato alla situazione di salute dei soggetti, per la FGCI no.
Garantire alla popolazione il miglior stato di salute possibile, tenuto conto delle conoscenze attuali, significa in primo luogo per lo Stato dotarsi di (e far funzionare) un sistema sanitario in grado di reagire adeguatamente ai rischi sanitari evitabili, cioè quei rischi che sono controllabili e evitabili dall’uomo.
L’obbligo di garantire che il sistema sanitario sia in grado di rispondere in modo adeguato (tenuto conto delle conoscenze esistenti) ai rischi sanitari evitabili va riferito anche ai rischi derivanti dalle “minacce ambientali”.
Tale diritto, come parte di quello alla protezione della salute, è stato affermato e valorizzato soprattutto con riferimento al paragrafo 3 dell’Art.11, che obbliga gli Stati all’adozione delle misure necessarie per prevenire malattie epidemiche, endemiche o di altro genere.
Noi tutti a casa senza punti di penalizzazione, i calciatori del Napoli e della Reggiana invece in giro per l’Italia senza quarantene di sorte perché devono disputare l’incontro di calcio così come stabilito dal regolamento FGIC superiore a Costituzione e CEDU.
A questo punto mi sembra importante rilevare come il Comitato abbia riconosciuto nell’obbligo di tutelare il diritto alla salute un valore giuridico speciale e per così dire “rafforzato” rispetto ad altri diritti sociali.
La cura della salute costituisce infatti, secondo il Comitato, una precondizione essenziale alla preservazione della dignità umana (FIDH v. France, Complaint n. 14/2003, Decision on the merits of 3 November 2004, § 31) ed è strettamente complementare alla tutela del diritto fondamentale alla vita e al divieto di trattamenti inumani e degradanti (Conclusions 2005, Statement of Interpretation on Article 11).
Quindi il Comitato ha affermato: “la restrizione dell’ambito di applicazione ratione personae indicato nell’Annesso alla Carta non può essere inteso in modo tale da privare gli stranieri rientranti nella categoria dei migranti c.d. irregolari della protezione dei diritti più basilari sanciti nella Carta, né da pregiudicare diritti fondamentali quali il diritto alla vita, all’integrità fisica o al rispetto della dignità umana. […] Non considerare gli Stati parti della Carta come obbligati, quando si tratti di stranieri c.d. irregolari, a proteggere la loro salute e, in particolare, ad assicurargli l’accesso alle cure al sistema sanitario, vorrebbe dire non rispettare la loro dignità umana ed esporli a gravi minacce per la vita e l’integrità fisica”.
Però a tale pronuncia la FGCI fa seguire la sua di pronuncia, per cui l’eccezione alla regola è quella dei calciatori che possono essere esposti a gravi minacce per la vita e l’integrità fisica se no perdono la partita a tavolino.
Per non parlare, infine dell’ultimo aspetto di cui voglio discutere e cioè del fatto che i calciatori sono, comunque, dei lavoratori.
Segnalo quindi che un serio problema è già stato rilevato, con relativa condanna, per quanto riguarda non già l’art. 11, ma l’art. 3, par. 1, riguardante il diritto alla sicurezza e alla salute sul lavoro, ma per l’incompleta attuazione da parte dell’Italia della Direttiva 89/391, sull’introduzione di misure atte a incoraggiare miglioramenti per la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il di lavoro.
In definitiva se verrà portata a Strasburgo questa vicenda non escludo una bella sanzione per il nostro Stato e, la cosa che più mi rattrista che io, antijuventino incallito, dovrò pure pagare in parte la sanzione per l’irregolarità di cui si è avvantaggiata la “vecchia signora”.