Aldo Bianchini
SALERNO – Tutta quella che non ho io ce l’ha, fortunatamente, Mons. Nunzio Scarano; e ce ne ha da vendere, anzi da distribuire a tutti gli essere umani che cadono nelle maglie della giustizia.
Parlo della fede, la fede nella giustizia degli uomini nella quale Don Nunzio ha sempre creduto; Don Nunzio che proprio in forza di questa incrollabile fede può oggi a giusta ragione dire:
“Sono Mons. Nunzio Scarano, sacerdote, che si è fatto crocifiggere dall’ingiustizia umana. Dentro di me ho vissuto la crocifissione della Santa Madre Chiesa; da parte mia c’è il perdono veramente di tutti coloro che hanno tramato contro di me. Io dico anche grazie a loro perché mi hanno fatto rinascere ad una vita nuova per farmi diventare un uomo nuovo. Sono nel mondo ma questo mondo non mi appartiene più e seguo solo le orme del Signore che si è fatto crocifiggere per ognuno di noi, e se lo ha fatto lui perché non posso farlo anche io. Ho sempre creduto alla mia innocenza. Rinnovo tutto il mio amore e la mia obbedienza alla Santa Madre Chiesa di Dio alla quale appartengo indissolubilmente”.
E’ un fiume in piena, don Nunzio Scarano, dopo che lo ha raggiunto la notizia, sapientemente fornitagli dal suo avvocato di fiducia Riziero Angeletti (avvocato vaticanista di vaglia) in merito alla decisione della Suprema Corte di Cassazione:
- Processo da rifare per monsignor Nunzio Scarano, per l’ex agente dell’Aisi, Giovanni Maria Zito e per il broker, Giovanni Carenzio. I giudici della Corte di Cassazione hanno annullato con rinvio la sentenza, emessa lo scorso anno dalla terza sezione d’appello di Roma, rinviando gli atti nuovamente ai giudici di appello romani per un nuovo processo. Ora bisognerà attendere le motivazioni per comprendere le ragioni che hanno indotto la Suprema Corte ad annullare con rinvio il verdetto di secondo grado per il prelato salernitano e gli altri due coimputati. (Fonte Il Mattino del 12 nov. 2020).
In questa vicenda Don Nunzio, che si era affidato inizialmente alla difesa degli avvocati salernitani Silverio Sica (attuale presidente dell’ordine forense) e Giuseppe Pepe, era stato condannato ad un anno di reclusione in 1° grado e addirittura a tre anni in appello.
Una vicenda, intricata e complessa, che lasciava ampi margini a tutte le supposizioni del caso e che gettava un’ombra molto lunga sull’innocenza del sacerdote salernitano.
Quindi siamo di fronte ad una decisione, quella della Cassazione, che ribalta completamente il quadro accusatorio e i termini del processo, e impone alla Corte di Appello di Roma di rivedere la propria sentenza che condannava “il sacerdote” ad una pena afflittiva assolutamente fuori dalla grazia di Dio.
Perché ? Semplicemente perché, molto verosimilmente, quella tranche dell’inchiesta giudiziaria della Procura di Roma (il famoso ex “porto delle nebbie”) a carico dell’ex responsabile della contabilità analitica del patrimonio della Santa Sede, cioè dell’APSA (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) sezione straordinaria, non aveva ragione di essere incardinata con la virulenza che noi tutti conosciamo; una tranche che ha originato e sostenuto anche la parte dell’inchiesta promossa, con altrettanta virulenza, dalla Procura della Repubblica di Salerno.
Non possiamo, difatti, nasconderci dietro un dito e dobbiamo seriamente e serenamente incominciare a credere che altrettanto verosimilmente il benefattore di tantissimi salernitani (e non solo), ivi comprese alcune istituzioni, sia stato trattato alla stregua di un delinquente comune e buttato nelle carceri del popolo per un giudizio sommario di quello stesso popolo che, in seguito al primo processo ingiusto della storia, condannò Gesù alla crocifissione.
Proprio quella crocifissione che Don Nunzio ha richiamato per tutti noi non come monito, piuttosto come suggerimento cristiano lontano dalla sottomissione e più vicino alla ricerca della verità con forza e decisione, ma sempre nella completa accettazione della fede nella giustizia, quella fatta dagli uomini che spesso sbagliano e che altrettanto spesso riescono ad irrorare la vera giustizia.
Ma al di là delle tentazioni di metterla sul piano squisitamente filosofico, nel caso di Don Nunzio Scarano la domanda è: “Poteva essere evitato il massacro giudiziario e il tritacarne mediatico che alle prime luci dell’alba del 28 giugno 2013 fu scaraventato addosso ad un umile e laborioso sacerdote che aveva, ed ha, sacrificato tutta la sua vita sull’altare della Chiesa e della solidarietà verso gli altri ?”.
Alla luce del pronunciamento della Cassazione la risposta è decisamente in favore di Don Nunzio che, come ho sempre scritto fin dall’inizio di questa brutta storia, finalmente può ritornare a respirare l’aria purissima della sua fede nella giustizia terrena e, soprattutto, in quella divina.
Le poche parole che “don Nunzio” mi ha consegnato telefonicamente (e che ho riportato in apertura di questo articolo) devono servire da monito ma anche da stimolo per tutti, e non solo per la stampa che con il “caso Scarano” ha mancato l’ennesima grande occasione per percorrere una strada diversa da quella che solitamente percorrono i PM d’attacco.