Nota della direttrice editoriale
L’articolo del dr. Alberto Di Muria (titolare della omonima farmacia sita al Bivio di Padula) viene pubblicato in forma gratuita e, trattandosi di dati scientifici, sotto la totale responsabilità dell’autore.
da Dr Alberto Di Muria
Padula-Gli inibitori di pompa protonica sono tra i farmaci più utilizzati e abusati nei paesi industrializzati e anche l’Italia non fa eccezione. Se utilizzati in maniera appropriata sono di certo molecole di grande utilità ma il loro abuso non è privo di rischi. Ad esempio, secondo i dati di uno studio osservazionale pubblicato su Jama Internal Medicine, l’uso di inibitori della pompa protonica si associa a un aumento del rischio di sviluppare malattia renale cronica incidente. Lo studio è stato sviluppato da un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University (USA), in collaborazione con le università di Yale (USA) e del Royal Brisbane and Women’s Hospital (Australia). Insieme hanno portato avanti la ricerca Atherosclerosis Risk in Communities, che ha coinvolto poco meno di 10.500 partecipanti di età media pari a 63 anni e senza malattia renale cronica al momento dell’arruolamento. I partecipanti sono stati seguiti per un follow-up mediano di 13,9 anni e i dati ottenuti sono stati confermati anche in una coorte più ampia composta da 248.751 persone seguite invece per un periodo mediano di 6,2 anni. Sono stati utilizzati diversi approcci statistici e si sono confrontati gli effetti in termini di malattia renale cronica non solo tra pazienti utilizzatori e non utilizzatori degli inibitori di pompa, ma confrontando anche utilizzatori di questa classe farmacologica con chi invece era in trattamento con inibitori del recettore H2.
Dopo aggiustamento per variabili demografiche, socioeconomiche e cliniche, l’utilizzo di inibitori della pompa protonica è risultato associato a un aumento del 50% del rischio di nefropatia cronica rispetto al non uso, e risultati simili sono stati ottenuti con i diversi metodi utilizzati e anche nella coorte più ampia utilizzata come controllo. E’ stato anche notato che il rischio rispetto ai non utilizzatori aumenta in modo dose-dipendente e risulta più alto per chi assume gli inibitori di pompa due volte al giorno rispetto a chi segue la mono somministrazione giornaliera.
Gli autori concludono che l’assunzione di inibitori di pompa protonica si associa ad un rischio di insufficienza renale cronica incidente non trascurabile e ricordano come negli USA siano almeno 15 milioni le persone in trattamento con PPI. Secondo alcuni studi, almeno il 70% di queste prescrizioni sarebbero senza indicazione, mentre altri suggeriscono che almeno una persona su 4 di quelle in trattamento cronico con PPI potrebbe tranquillamente sospenderli senza manifestare alcun disturbo.
I dati disponibili suggeriscono che l’uso degli inibitori della pompa protonica è associato a un aumentato rischio sia di malattie acute e croniche del rene, ipomagnesiemia, infezione da Clostridium difficile, e fratture osteoporotiche e quindi andrebbero usati solo in caso di effettiva necessità.