La morte delle pietre – parte 2

 

Ing. Paolo Biancamano

Tornare a distanza di anni a scrivere sullo stesso argomento è inusuale, ma purtroppo spesso alcuni eventi si ripetono, pertanto si sente l’esigenza di esprimere le proprie riflessioni.

Ma andiamo ai fatti, ed in particolare dove e come si è consumata, nuovamente, la “morte delle pietre”: si tratta di un nuovo un “pietricidio”, dopo quelli avvenuti negli anni scorsi, di diverse unità immobiliari risalenti, a guardare il catasto di impianto, a molto prima del 1890 (particelle 782 – 783 – 784 nell’immagine successiva).

 

 

 

 

 

 

 

 

Immobili quasi diruti a dire il vero, malmessi, e sicuramente pericolosi in caso di sisma, ma, a valle di qualche riflessione, non c’era nient’altro da fare? Abbatterli era l’unica opzione? Si poteva fare diversamente? Forse no, o forse si. Si pensi ad un anziano veramente mal messo, al quale, senza molte gentilezze, gli viene praticata l’eutanasia. Sicuramente qualcuno dirà “ma soffriva tanto, meglio che è morto!”. E da un lato è anche vero, ma la famiglia? Gli amici? I conoscenti? Cosa penseranno nel non rivedere mai più il loro caro: Si è fatto il possibile per salvarlo? Non c’era un’altra strada per “curarlo”? Domande più che legittime.

Ora tornando alle unità immobiliari “uccise”, o forse meglio dire “su cui è stata praticata una eutanasia forzata”, è vero forse non erano tutta questa “espressione artistica”, non erano bellissime, nè fotogeniche, si portavano male gli anni, e gli interventi che avevano subito non avevano migliorato la situazione, ma rappresentavano un luogo, custodivano ricordi di chi li aveva vissuti, ma anche un modo di costruire, un tessuto urbano irripetibile, una “cultura materiale”, un “sapere” di un popolo (quello sassanese).

E sempre chiamando in causa il vecchio paziente, chiaramente se ci si affida ad un architetto per curarlo, è chiaro che quel pover’uomo probabilmente avrà una cappella funebre bellissima, ma sarà comunque morto. Così qualche dubbio anche per le “pietre” sorge: Si è fatto il possibile per salvarle? Non c’era un altra strada per “curarle”? Era necessario abbatterle e lasciare al loro posto il vuoto?

Ed è su questo punto che nasce una riflessione, anzi più di una. Di solito in passato si abbatteva per ricostruire, non sempre con buoni risultati, ma almeno c’era la volontà di non lasciare vuoti inutili. Si abbatteva per far posto al progresso, e nonostante una certa cesura epistemologica avvenuta nell’era del cemento armato e poi nel post terremoto, gli abbattimenti non erano mai fini a se stessi. Qui invece si compie quella che i grandi urbanisti del novecento hanno definito l’apoteosi del nulla, “il vuoto”. Si abbatte e basta. Ed è proprio questo il problema, i vuoti e la perdita della materia, dell’impianto urbanistico stravolto, dello spazio fine a se stesso, degli spazi che non saranno mai luoghi (per citare Clément). Spazi in cui nessuno si riconoscerà, a cui non saranno legati ricordi, in cui nessuno avrà vissuto (non si può vivere nel vuoto).

 

 

Se si continua ad abbattere non resterà più nulla del “sapere” delle pietre, della cultura materiale, si perderà quel “paesaggio storico urbano” (UNESCO, 2011) quale rappresentazione dei popoli che lo hanno definito. Ci sarà tanto spazio, ma vuoto. Si compirà quello che viene chiamato “nichilismo imperfetto”, o meglio dire “nichilismo ignorante” (Nietzsche mi perdonerà), cioè la distruzione di valori senza prevederne la sostituzione con altri, quindi la sostituzione del “sapere” con il vuoto, il nulla, con il “non sapere” (ecco perché “ignorante”).

Infine vorrei però guardare all’aspetto positivo, se proprio si deve abbattere è meglio che si lascino dei vuoti piuttosto che ricostruire brutture, almeno, chi compie tali nefaste scelte, non lascerà segno del suo passaggio.

Note: le immagini degli immobili abbattuti sono state estrapolate da un vecchio filmato pubblicato sul gruppo Facebook “Sassano nella storia”, pertanto ringrazio chi, con tanto amore e dedizione, permette di portare avanti la testimonianza di un tessuto urbano irripetibile, di una “cultura materiale” specifica, di un sapere locale. https://www.facebook.com/groups/626283867408829

 

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