Lettera ad un aspirante avvocato

 

Giuseppe Amorelli (avvocato – scrittore)

 

Avv. Giuseppe Amorelli

SALERNO – Spesso sono invitato a “elargire” consigli a quei giovani che decidono di intraprendere la professione di avvocato.

Non penso di essere all’altezza di consigliare ad alcuno, alcunchè; è arduo e difficile dare un consiglio. Ma viene in mio ausilio, l’aver vissuto d’avvocato, già da tanto tempo, l’aver calcato le aule giudiziarie, l’aver “ascoltato” le vicende di tanti sventurati che si sono rivolti al mio ufficio perchè io venissi in loro soccorso. Una idea della “funzione” di avvocato me la sono formata.

Chi si appresta a scegliere la professione di avvocato deve possedere una spiccata “curiosità  intellettuale.”  Essa, la nostra professione, invaderà la  nostra  vita e ci  chiederà di dedicarle ogni energia. Vorrà che ognuno di noi debba stare accanto a quell’essere umano bisognoso di “giustizia” e di assisterlo fraternamente senza cupidigia di denaro e sete di gloria, ma spesso per carità umana. Ci chiederà di dare il nostro conforto per alleviare le sue preoccupazioni; di dare tutta la pazienza nel prestare orecchio alle sue miserie; essere disponibile a  quella forma di solidarietà umana  che consiste nel tener compagnia  a chi si trova a tu per tu con il dolore; per fare questo  dovremmo dedicare notti insonni sottraendoli alla possibilità di vivere con i propri cari. L’avvocato si prodigherà per gli altri, servirà gli altri.

L’avvocato deve essere non solo fornito di scienza, affermava Piero Calamandrei in un suo scritto, intitolato: “Troppi avvocati”, ma deve essere soprattutto coscienza che nella interpretazione del diritto sappia portare una dirittura, un carattere superiore ad ogni furberia e  ad ogni interesse meramente pecuniario. Il diritto non è tutto nelle formule dei codici ma la sua forza più pura attinge dall’austero sentimento del giusto, che dovrebbe essere per l’avvocato un inseparabile vademecum professionale. Coloro che intendono intraprendere la carriera forense debbono avere ben impresso nella mente l’insegnamento del Grande maestro Alfredo De Marsico che nel : ” Discorso all’avvocatura” tenutosi a Pescara nell’anno 1971, tenne a sostenere: “In ogni momento del nostro cammino,  l’occhio non sia fisso che al vero. La ricerca del vero, la difesa del vero”.  Nella opinione pubblica infatti l’ufficio dell’avvocato è quello di far vincere le cause ai clienti. Tuttavia la “funzione” dell’avvocato oltre che l’interesse privato del cliente, ha una funzione pubblica nell’interesse della collettività.

Storicamente l’avvocatura è stata al servizio dell’interesse privato, finchè il processo è stato concepito come un duello legalizzato tra due interessi individuali, in mezzo ai quali lo stato si assideva come spettatore passivo. Con l’avvento della carta costituzionale l’ufficio dell’avvocatura rivendica a se la funzione giurisdizionale e pertanto all’esito del processo  non rimane estraneo l’interesse  pubblico se in ogni processo, si trova in gioco l’applicazione della legger, ovvero il rispetto della volontà collettiva.

L’avvocato, quello vero, non il semplice iscritto all’albo, non potrà isolarsi intellettualmente perchè è il confronto che ci rende umili e quindi ci conserva giovani e vivi.

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *