Giovanni Falci (Avvocato penalista e cassazionista)
L’articolo pubblicato su “quotidiano del sud” del 19.07.2020 relativo all’incarico professionale conferito all’avvocato Cecchino Cacciatore per la difesa del Comune di Salerno in una indagine su presunti illeciti commessi da cooperative in rapporti con l’ente pubblico, mi ha lasciato amareggiato per più di una ragione.
Mi dispiace da avvocato, da amico di Cecchino e da cittadino fruitore del sevizio di informazione.
Innanzitutto, non sembra in linea con la “trasparenza” che dà il nome ad una apposita commissione, divulgare notizie imprudenti su di un chiarimento che si ritiene dover approfondire.
Quale può essere l’interesse della opinione pubblica a sapere che la commissione del Comune di Salerno svolgerà una “indagine” su conferimento di un incarico professionale?
Cosa diversa sarebbe stata informare di eventuali irregolarità riscontrate, ma non di irregolarità semplicemente sospettate.
Ed infatti il vero problema dell’avv. Cacciatore come di chiunque sbattuto su un giornale è quello di evitare il giudizio, non il castigo.
Il castigo senza giudizio è sopportabile, ha persino un nome, sventura, mentre qui si tratta di evitare d’essere sempre giudicati senza che venga mai pronunciata la “sentenza”.
A prescindere da quello che sarà il provvedimento che verrà adottato, colpevole o innocente o peggio ancora -pareggio-, tutti noi “giudicheremo” l’avv. Cacciatore senza esserne autorizzati e senza conoscere i fatti per colpa di un imprudente e poco professionale giornalista di provincia.
Di qui, la mia idea di cambiare il nome della commissione in quella di “commissione inquisizione”.
L’inquisizione, a ben vedere, è esattamente il contrario della trasparenza; essa è fatta di procedimenti segreti, di ordalie.
In secondo luogo, a me sembra che lo spirito che ha animato questa divulgazione della notizia non sia lo spirito di servizio pubblico inteso sia come servizio di informazione che come servizio di rispetto della legalità, ma sia invece un semplice spirito di invidia.
Non si tratta cioè di una rivolta difronte all’ingiustizia ma di un semplice e meschino risentimento.
E’ chiaro però che la rivolta non va confusa con il risentimento; la rivolta è certamente positiva mentre il risentimento è un concetto negativo; il risentimento è definito bene da Scheler come una autointossicazione, la secrezione nefasta in vaso chiuso, di una impotenza prolungata; al contrario la rivolta infrange il vaso e lo aiuta a traboccare.
Dal risentimento nasce l’invidia per ciò che non si ha; il risentimento è sempre risentimento contro se stessi.
“L’invidia è la consapevolezza della propria mediocrità” scriveva Mario Hrvat; e tale efficace definizione si adatta bene all’articolo in commento e al suo autore.
Basta poco perché il mediocre riveli la sua natura: anche di fronte a un modesto successo dell’altro, subito si scatena in lui la recriminazione e la gelosia.
Ebbene, senza bisogno che la manifesti esteriormente, quella reazione nasce nel suo animo perché sa di essere limitato, di non avere le capacità altrui; ma anziché rimanere quietamente nel suo stato, riconoscendo con umiltà le sue reali forze, si abbandona alla detestazione e allo scontento.
“L’avere più ingegno del comune è sempre una grande colpa agli occhi dei mediocri”, diceva Mario Missiroli, ex direttore del Corriere della Sera negli anni ’50.
È per questo che, invece che scatenarsi il confronto chiaro e netto, si scatena, da parte del mediocre invidioso, la sottile erosione della dignità dell’altro, l’uso ipocrita del giudizio, l’adozione colpevole della calunnia, il ricorso a oscuri maneggi, la coalizione con altri mediocri, la frenetica ricerca di ogni occasione per far cadere chi è superiore per intelligenza, umanità o capacità, come lo è nel nostro caso Cecchino Cacciatore.
Ora, è bene chiarire, l’errore in punto di diritto in cui è incorso il giornalista, autore dell’articolo per fornire al lettore una informazione tecnicamente corretta.
La “persona” offesa, e non già la “parte” come è scritto nell’articolo, è regolata dal codice di rito penale che prevede la possibilità di nomina di un difensore.
Lo status di persona offesa non coincide con la indicazione che la Procura della Repubblica fa al momento della acquisizione della notizia di reato.
I diritti e le facoltà della persona offesa del reato, infatti, riguardano ogni stato e grado del procedimento, quindi, anche la fase del procedimento precedente l’indicazione del PM.
La notizia pubblicata, perciò, contiene un grossolano errore di diritto che si trasforma in una informazione tendenziosa e priva di fondamento.
In particolare, è una informazione sbagliata, sicuramente non proveniente da un addetto ai lavori, ricollegare poteri processuali alla persona offesa “all’atto dell’esercizio dell’azione penale”.
In ogni caso, per una corretta ed esaustiva informazione dell’opinione pubblica, è bene chiarire che oltre la persona offesa dal reato esiste anche nel processo il cd. danneggiato dal reato, anch’egli con il potere di costituirsi parte civile per esercitare nel processo penale l’azione civile per i danni subiti dal fatto illecito commesso.
Questa semplice ed elementare lettura delle norme (90, 101 c.p.p.) dimostra la capziosità della notizia pubblicata su presunti “malumori” collegati alla nomina dell’avvocato Cacciatore da parte del Comune di Salerno.
In effetti, il punto più contraddittorio dell’intero articolo che, lungi dall’essere una corretta esposizione dei fatti, è semplicemente un esercizio di invettiva fine a se stessa, è quello relativo al richiamo alla decisione assunta dall’amministrazione comunale nel “ben più rilevante” processo Crescent.
Delle due, l’una, se ci si duole della mancata nomina di un difensore esterno nel processo Crescent bisognerebbe gioire per la nomina nel processo sull’inchiesta delle coop..
Tutto sommato bisogna compenetrarsi nell’autore dell’articolo: egli, con quella nomina ha passato una disgrazia.
Come diceva, infatti, Ambrose Bierce “le calamità sono di due specie: la disgrazia che capita a noi e la fortuna che capita agli altri”.