Aldo Bianchini
CAVA de’ TIRRENI – La storia politico-giudiziaria-malavitosa di Cava de’ Tirreni, la ex “piccola Svizzera” di tutto il mezzogiorno d’Italia è molto complessa e, quindi, difficile da raccontare; ad ogni parola che si scrive o si pronuncia si urta la suscettibilità di qualcuno ed a volte le risposte sono immediate e, spesso, anche volgari.
E’ opportuno, e anche giusto, dire subito che Cava de’ Tirreni, dopo essere stata la Svizzera in miniatura è tuttora una splenda, accogliente e ben organizzata città della provincia di Salerno; non a caso, difatti, è la seconda città della provincia ma solo per numero di abitante, per tutto il resto potrebbe tranquillamente occupare il primo posto in assoluto.
Sicuramente occupa il primo posto nella provincia di Salerno per quanto attiene la produzione di soggetti impegnati nel triangolo politico-giudiziario-malavitoso; molti buoni politici, molti ottimi magistrati, e molti esponenti della malavita organizzata.
Questi ultimi, i malavitosi, determinano come accade dovunque le linee guide della politica e della giustizia in una sorta di “verminaio” inestricabile e difficile da combattere; ma sicuramente facilmente manovrabile e gestibile per cambiare il corso degli accadimenti e per condizionare pesantemente la politica socio-economica-imprenditoriale della città metelliana.
Il termine “verminaio” non è mio, io l’ho soltanto utilizzato perché racchiude in sé la migliore descrizione possibile della situazione politica-giudiziaria-malavitosa che la splendida Cava sta vivendo almeno da una ventina di anni a questa parte. Ha parlato di “verminaio” per la prima volta il noto giornalista-editore e politico Pasquale Petrillo per avere lui stesso (come ho già scritto) visto nascere e in parte determinato il proliferare almeno del verminaio nel palazzo di città con gli eventi che portarono alla caduta rovinosa dell’ottimo sindaco avv. Alfredo Messina.
Da quel momento a Cava non si è capito più niente e i fatti hanno travolto diverse amministrazioni comunali; sembrava che qualcosa fosse cambiato con l’avvento del metodico Vincenzo Servalli, ma era soltanto un’illusione e i fatti legati alle vicende giudiziarie e processuali di uno dei consiglieri comunali più in vista, Enrico Polichetti, stanno lì quasi a confermare la mia ricostruzione che è soltanto giornalistica.
Perché ?, la spiegazione è apparentemente semplice: a Cava ci sono molti buoni politici, molti ottimi magistrati e troppi esponenti dei clan malavitosi; e quando c’è questa base di partenza si registra sempre la presenza di una guerra intestina per la conquista del vero potere in grado di governare dall’alto tutta la situazione.
Ma questo è un tema che va sviluppato in altra sede perché la sua descrizione sarebbe troppo lunga e ci porterebbe molto lontano.
Oggi intendo soffermarmi su due aspetti importanti dell’intero “verminaio” cavese: pentitismo e gestione dei pentiti. Due cose che in ogni Procura d’Italia è stata da sempre condizionata e indirizzata, checché ne dicano i magistrati, in flussi strategici molto diversificati tra loro ma tutti diretti all’affermazione esclusiva della “linea di gestione” che ogni magistrato ed ogni investigatore ha inteso dare alla sua azione; un’azione che molto spesso viene eclatata dai mezzi d’informazione senza “cercare di capire per poter spiegare”, come diceva il grande giornalista Walter Tobagi del cui assassinio proprio ieri ricadeva il quarantesimo anniversario.
Questo, purtroppo, non avviene; e se ciò accade è anche responsabilità degli editori fasulli (nella nostra provincia ce ne sono tantissimi !!) che non creano le condizioni giuste affinchè le nuove leve del giornalismo possano svolgere al meglio il mestiere più bello del mondo.
Potrei non dirlo, ma farei un torto a me stesso; sono rimasto indignato nel leggere sul quotidiano più diffuso del Mezzogiorno “Il Mattino” un articolo del 27 maggio scorso “Dal carcere duro il monito del boss Zullo «Contro di me solo bugie, è ora di finirla»” in cui si dà una estesa, e forse inammissibile, possibilità ad un soggetto ristretto con il 41/bis al carcere duro di dire tutto ciò che vuole senza un minimo di contraddittorio o di considerazione su quanto sconsideratamente dichiarato.
E’ vero che è accaduto nel contesto di una deposizione fatta in collegamento video nell’ambito di una delle udienze per il processo, è altresì vero che tutti hanno diritto a difendersi nella maniera migliore, ma non è sicuramente vero che questi soggetti debbano avere sui mezzi d’informazione spazi simili a quelli riservati ad accadimenti che certamente hanno una valenza superiore a quella di una proclamazione addirittura di “un monito” (c’è scritto nel titolo !!) intimidatorio nei confronti di altri. Lasciamo che queste cose restino ristrette nell’ambito di un’aula di tribunale; sarebbe sufficiente un piccolo trafiletto per garantire una informazione decorosa, ma lasciare spazi enormi mi sembra davvero poco ortodosso.
Io non so chi sia Dante Zullo, non lo conosco e non lo conoscerò mai, ma se si trova (suo malgrado) ristretto al 41/bis vuol dire che una multa l’avrà pure beccata e, quindi, non possiamo permetterci il lusso di far passare messaggi trasversali verso il mondo esterno da chi è relegato ad un regime restrittivo severo.
Per oggi mi fermo qui; nel prossimo articolo cercherò di trattare, come avevo già anticipato nel precedente articolo del 20 gennaio scorso; a) La sfortuna degli imputati-politici (Polichetti per tutti !!) di avere nel processo un pubblico ministero di Cava de’ Tirreni; b) Il verminaio esistente nella politica e nella pubblica amministrazione di Cava; c) La definizione del presunto reato di “scambio elettorale politico mafioso”; d) Se e come il monito di Zullo potrà incidere sulle imminenti elezioni amministrative.