Aldo Bianchini
SALERNO – L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (meglio noto come INAIL) dopo decenni di silenzio ovattato ritorna prepotentemente alla ribalta di un Paese, e più specificamente del suo apparato produttivo e assicurativo previdenziale che, per certi versi, a cavallo tra la fine del ‘900 e l’inizio del 2000 aveva cercato a più riprese di cancellarlo scaraventando le sue peculiarità e i suoi servizi nell’enorme e non più controllabile calderone e carrozzone della più generale Previdenza Sociale.
Perché ?, semplicemente perché nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche evidenziava, ed evidenzia, un modello lavorativo ai limiti della perfezione che aveva, ed ha, consentito all’Ente di occupare sempre i primi posti della scaletta di efficienza ed efficacia, attraverso l’automaticità delle prestazioni, nei confronti di una particolarissima categoria dei lavoratori, cioè tutti quelli che a centinaia di migliaia nel corso di ogni anno rimanevano, e rimangono, vittime di un infortunio sul lavoro che produce “invalidità temporanea, permanente o assoluta al lavoro e spesso anche la morte”; una invalidità che l’Istituto affronta con una competenza che sicuramente va al di sopra delle righe, perché il calcolo dell’invalidità permanente è precisamente tabellata sulla base dello stretto rapporto “lavoro – rischio” che fin dalla sua nascita è stato il caposaldo dell’INAIL, ed anche perché questo calcolo viene fuori dall’attento studio del rischio che ogni singola attività, anche nell’ambito dello stesso settore, promana verso l’esterno.
Un modello lavorativo-organizzativo, basato su principi legati indissolubilmente ad una “gestione privatistica”, fin dalla fine dell’800 a tutti gli anni 80’90 con l’inizio della terza rivoluzione industriale; gestione che è andata mano a mano affievolendosi sotto i colpi di maglio di una concezione troppo pubblica della previdenza sociale e, quindi, inesorabilmente non sempre perfettamente efficiente, per non dire quasi sempre deludente come in queste ultime settimane.
L’INAIL, contrariamente a tanti altri Enti previdenziali (nati, decotti e finiti nell’arco di alcuni decenni) affonda le sue basi strutturali fin dai tempi che a cavallo della seconda rivoluzione industriale di fine ‘800 incominciò a cavalcare l’onda che la stessa rivoluzione chiedeva in favore della classe operaia (che risorgeva da secoli di abbandono) sotto il profilo dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ci fu un fiorire di agenzie assicurative, tutte improntate allo stesso principio di “automaticità delle prestazioni” a garanzia totale del lavoratore; questo fiorire venne regimentato e regolamentato nel primo dopoguerra fino a quando negli anni ’30 il duce Mussolini partorì l’ INFAIL (Istituto Nazionale Fascista per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) che nel secondo dopoguerra venne facilmente trasformato in INAIL con tante successive modifiche, fino ai giorni nostri.
Quindi l’INAIL fin dai suoi primi vagiti di fine ‘800 ha caratterizzato la sua azione assicurativa pro-lavoratore creando, modificando e rifinendo nei decenni un meticoloso e scientifico metodo di calcolo tra attività espletata dal datore di lavoro, proiezione della stessa sul lavoratore, elaborazione dei presidi personali di sicurezza di cui dotare i singoli lavoratori in ragione dell’attività espletata in ambiente possibilmente salubre; un calcolo meticoloso che nel corso dei decenni ha dato vita alla “Tariffa dei premi” (in questa denominazione è ancora tutto radicato il principio privatistico dell’Ente !!) che altro non è se non lo studio attento e puntuale di tutte le lavorazioni esistenti nel mondo del lavoro che sono state vagliate, ponderate e incasellate in base al principio della loro pericolosità nel determinismo dell’infortunio sulla base di un rischio abbastanza conosciuto.
Ecco perché oggi, in piena tempesta di coronavirus, lo Stato si è accorto dell’INAIL e delle sue eccelse capacità strutturali di valutare in tempi brevi e ravvicinati il “rischio” che ogni industria, azienda piccola e media, lavoro autonomo e agricoltura, rovescia inconsapevolmente e inevitabilmente su ogni singolo lavoratore.
E quale migliore occasione, per lo Stato, avere già a portata di mano uno strumento così efficiente nel momento in cui si riparla strettamente di “sicurezza del rischio del lavoro e delle necessarie misure di sicurezza” per poter ripartire.
Con questa strategia operativa l’INAIL è stato anche capace di acquisire a se un patrimonio non solo scientifico ma anche economico-patrimoniale (grazie ai suoi principi privatistici) che è stato sempre anche offerto allo Stato che prendeva e spandeva pur girandosi dall’altra parte.
Ora, invece, grazie anche se non soprattutto all’evidente intelligenza dell’attuale dirigenza centrale che finalmente ha saputo ben vendere il patrimonio che aveva, l’INAIL è ritornato prepotentemente al tavolo del governo nazionale (dal quale era stato tenuto elegantemente fuori dall’ INPS che negli ultimi decenni ha fagocitato tutti i servizi … sbagliando in maniera clamorosa !!) ma non con la specialità di accentratore di servizi e di erogatore di risorse (che spesso non ci sono) ma come punto essenziale per la risoluzione di un problema storico come quello della sicurezza e l’igiene sui posti di lavoro.
L’INAIL riparte, quindi, con un vantaggio straordinario rispetto anche agli Enti che per loro genesi hanno da sempre curato e vigilato sulla prevenzione; spetterà all’attuale efficiente dirigenza centrale non perdere questo vantaggio importante che viene dalla storia e dalle radici dell’Istituto assicurativo per eccellenza.