Angela D’Alto
(opinionista)
VALLO di DIANO – Le giornate della quarantena scorrono lente, a distanze di oltre un mese da un lockdown fino a poco tempo fa inimmaginabile persino dal più fantasioso dei catastrofisti. Dopo lo sgomento iniziale, il panico, l’incredulità , sembra quasi che questi sentimenti abbiano ceduto il passo ad una stanca rassegnazione, rispetto alla quale le certezze, a distanza di tempo, sono sempre troppo, troppo poche.
È questa la nostra fase due , che stiamo già consumando, e che dallo sgomento ci ha portati all’abulia.
Tra le pieghe dei comportamenti sociali e delle reazioni individuali, però , si inizia a scorgere qualcosa di ancor più preoccupante.
All’inizio della pandemia, l’Italia e gli Italiani si erano aggrappati con tutte le loro forze alla fiducia nella scienza. Un elemento importantissimo, soprattutto se unito alla responsabilità dei comportamenti, alla riscoperta di una solidarietà nazionale e di un ritrovato orgoglio di appartenenza. Ci siamo sentiti italiani, abbiamo dato fiducia alle nostre istituzioni tutte, ma soprattutto ci siamo sentiti rassicurati dalla consapevolezza che avevamo dalla nostra quello che ai tempi della peste nera o della spagnola l’umanità non aveva: una scienza avanzata, forte, autorevole.
Ma la scienza si è trovata di fronte a un nemico nuovo, e come era ovvio ha avuto e avrà bisogno dei suoi tempi per dare risposte. E questo, al netto dell’ istintiva impazienza di un popolo scosso e impaurito, abbiamo imparato a capirlo, persino con sorprendente maturità .
Poi però, è successo qualcosa che ha mandato in tilt il meccanismo. Perché gli italiani, ormai abituati alla politica rissosa e alla mediocrità delle proprie classi dirigenti, non erano invece pronti al pessimo spettacolo che anche la comunità scientifica sta offrendo, e proprio nella situazione più drammatica di sempre del nostro Paese.
Abbiamo assistito alla presenza di virologi, epidemiologi, infettivologi, in tutte le trasmissioni televisive, su tutti i giornali, su tutti i social. E li abbiamo sentiti dire tutto e il contrario di tutto. Abbiamo visto la D’Urso in minidress di lustrini e paillettes sostituire nei propri programmi tronisti e veline con primari e luminari veri o presunti, che da ormai un paio di mesi passano più tempo negli studi televisivi che nei laboratori o nelle corsie di ospedale. Abbiamo assistito all’attacco scomposto di Galli verso Ascierto, alla polemica tra Burioni e Tarro, alle imprudenti esternazioni della Capua, che pontifica dagli USA. E così anche l’unica certezza alla quale ci eravamo, giustamente, aggrappati, l’austero e affidabile mondo scientifico, è diventato un pollaio, una fiera delle vanità degna della peggiore politica. L’unica cosa su cui i meravigliosi protagonisti dei nostri talk sono tutti, o quasi, d’accordo, è quello che non sanno: non sanno se i test sierologici servono o no, se vanno fatti in massa o no, se esiste una immunizzazione per chi ha già contratto il virus o no, se il fattore climatico influirà o no, e ora persino se il vaccino è ipotizzabile o no. Ma nel frattempo, pur sapendo di non sapere ( cosa anche accettabile perché la scienza ha i suoi tempi), non si risparmiano da inutili comparsate in tv e sui social. Per dire cosa? Quello che ormai ciascuno di noi ha imparato a memoria: ‘dobbiamo imparare a convivere col virus; quando passerà non lo sappiamo; il rischio zero non ci sarà ; ci saranno nuove ondate; nulla sarà come prima.’
E così, siamo passati in due mesi dal ‘non è che una banale influenza’ all’apocalittico ‘non passerà mai più’.
L’ansia da prestazione dei Burioni, dei Galli, dei Pregliasco, delle Capua, è tale da spingerli a presenziare in tutti i programmi televisivi, per dire sempre le stesse cose, con sempre meno certezze e sempre più confusione.
Il risultato, in termini di impatto sull’opinione pubblica di un Paese già stremato, è terribile. Perché la gente inizia a proiettarsi nella fase tre: sconfortata da questo spettacolo, ricompaiono ipotesi complottiste, bestialità no vax, e soprattutto sfiducia nella scienza. L’ennesimo colpo mortale, l’ennesima mancanza di riferimenti, l’ennesima involuzione di una comunità sociale che già ha perso fiducia nella politica, nelle istituzioni, nella magistratura, nel giornalismo, nella chiesa, e che ora si ritrova orfana anche dell’unico punto di riferimento credibile e autorevole, che in un momento così avrebbe il dovere di offrire informazioni in modo tempestivo, coordinato e coerente.
Tutto questo, in spregio di tanti ricercatori che silenziosamente, con straordinaria competenza, passione, capacità , trascorrono nel completo anonimato ore infinite nei laboratori. E che speriamo non vedano il loro lavoro vanificato da questi cattivi maestri.