dr. Giovanni Abbruzzese
(dottore commercialista)
SASSANO – La pandemia da Coronavirus , che ad oggi già conta oltre 1,6 milioni di persone contagiate e circa 100 mila deceduti , ha messo in crisi, in tutto il mondo, le strutture sanitarie esistenti che si sono trovate impreparate all’attacco di un virus sconosciuto e invisibile. A questo attacco hanno risposto gli operatori del SSN che, per salvare vite umane, hanno loro stessi trovata la morte. A costoro, medici e infermieri , ai volontari delle ambulanze e alla Protezione Civile che hanno posto tutte le loro attività a supporto del SSN, rischiando il contagio , e che non hanno mai smesso di lavorare, un “GRAZIE” di cuore sperando che presto tutto possa tornare alla normalità . Un altrettanto “GRAZIE “ a tutti coloro che, impegnati nei servizi essenziali e rischiando loro stessi il contagio, continuano a lavorare per mandare avanti il nostro paese, nonostante tutto. Da questa emergenza , ed è questo il motivo di questa mia riflessione, sul SSN è scaturito un dibattito tra le forze politiche e nella opinione pubblica per dire se non sia giunto il momento di rivedere le norme che lo regolano, dal momento che esso si compone di diversi sistemi regionali, nei quali la componente pubblica e quella privata si combinano secondo vari livelli. Un sistema così organizzato non può certamente reggere di fronte ad una epidemia che ha coinvolto l’intero paese sapendo che questa non è la prima pandemia e non sarà certamente l’ultima. Partendo da questa realtà organizzativa vediamo ora se essa risponde a quei diritti che la Carta Costituzionale ( Art.32 ) prevede per i cittadini” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività , e garantisce cure gratuite agli indigenti. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sancisce” il possesso del migliore stato di salute possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizioni economica o sociale”. Principi questi non sempre attuati a seguito di un definanziamento del SSN al quale solo nell’ultimo decennio sono stati sottratti 37 miliardi di cui 25 solo nel periodo 2010-2015. Questa mancanza di risorse ha comportato minori posti letto passati dai 530.000 del 1981 ai 191.000 del 2017 secondo il “Rapporto Sanità 2018 – 40 anni del SSN”. Di contro la Sanità privata ha aumentato il suo fatturato soprattutto nei casi di una medicina specialistica e il Coronavirus ha messo in evidenza come tutte le strutture sanitarie pubbliche siano andate in crisi. I pochi posti letto dei reparti di terapia intensiva, in Italia circa 5.300 , per l’emergenza da Coronavirus si sono dimostrati insufficienti. Fatta questa premessa sui principi a cui deve ispirarsi il SSN é opinione diffusa e credo molto vera , che in Italia esistano due sanità quella del centro nord e quella del sud. La prima di eccellenza e la seconda dove la situazione è al di sotto del livello accettabile anche se qualche eccellenza , il coronavirus ha messo ampiamente in luce . Non ho assolutamente competenze specifiche per entrare nel merito di una riforma così complessa ma certamente alcuni suggerimenti , come paziente, come persona anziana penso di poter dare. In un’ottica di medicina territoriale , prevedere da parte del SSN l’infermiere di famiglia o di comunità come figura professionale che lavora accanto alla famiglia,mi pare essere un presidio indispensabile. Entrando nel merito di questa professione e della sua fruizione da parte dei cittadini ma soprattutto gli anziani che, nei prossimi dieci anni dovrebbero essere circa 8 milioni . Prevedere nella riforma un’assistenza domiciliare fondata su una rete territoriale di presidi socio-sanitari e socio-assistenziali, oggi ancora privilegio per pochi e con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile. Molte regioni hanno deliberato questa figura professionale nel Ssr individuandone ruoli e percorsi formativi e la Toscana, il Piemonte e la Lombardia hanno attivate sperimentazioni ,ma altre hanno presentato , al momento, solo proposte di legge e fra queste annotiamo la Regione Campania. La nostra Regione ha individuato questo modello evolutivo di medicina territoriale a seguito della Legge n.289 dell’ 8 novembre 2012, con la quale vengono delineati i principi di una organizzazione dei servizi territoriali di assistenza primaria. Solo di recente e a distanza di quasi un decennio la Regione Campania con la proposta di Legge ”Infermiere di famiglia e di comunità (H24).” Assistenza al domicilio nel Distretto Socio sanitario” depositata in data 6 agosto 2019 ed integrata il 19 settembre 2019 ”. All’art. 1 della proposta di legge si pongono gli obiettivi e le finalità che consistono nel riconoscere di dover potenziare l’assistenza territoriale e domiciliare, nel riconoscimento del principio di sussidiarietà, per fronteggiare i problemi di salute dei cittadini legati all’invecchiamento della popolazione e alla diffusione di cronicità, si ritiene necessario rivedere il modello organizzativo distrettuale per diminuire gli accessi al Pronto Soccorso. Mi auguro che tale proposta possa diventare legge e allineare il nostro Ssr a quelli del centro-nord. A conclusione di queste note sul SSN mi permetto di commentare le tante riflessioni che, a seguito del Coronavirus , sono state fatte da esponenti politici regionali e amministratori locali.
Al Governatore De Luca e all’Assessore Matera mi permetto di rivolgere qualche domanda in merito a quello che sembra non abbia funzionato, pur in presenza di un “ Piano Pandemico Regionale “ redatto nell’anno 2018 dopo quello nazionale del 2006. A questo piano , ed entro 60 giorni , le ASL avrebbero dovuto predisporre , ognuna un proprio “Piano Pandemico Aziendale” e non mi risulta che sia stato fatto. Nel piano si trovano le linee generali per limitare l’impatto negativo della pandemia sulla popolazione. Nel piano si legge ancora che , nel momento in cui vi siano avvisaglie di una pandemia, ( e la Cina ha comunque ha fatto sapere a gennaio di trovarsi dinanzi ad una grave pandemia) si sarebbe dovuto predisporre, perché scritto nel piano “ appropriati percorsi per i malati sospetti, il censimento delle disponibilità di letto in isolamento e di stanze in pressione negativa, il censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti”. Le ASL che non hanno provveduto ad approvare il loro Piano Pandemico Aziendale hanno delle responsabilità? Perché , sempre le ASL , non hanno applicato quello regionale? Perché il Governatore De Luca, in qualità di Commissario della Sanità, non ha controllato le ASL , appena avvenuta la dichiarazione di emergenza da coronavirus, per la mancata attivazione di misure di protezione, in primis per i medici di base e per il personale sanitario? Altre lamentele poi sono venute da parte di cittadini in merito alla principale struttura sanitaria esistente sul territorio, per il suo depotenziamento avvenuto nel corso degli anni e sulla riapertura dell’Ospedale di Sant’Arsenio. Al riguardo non mi trovo d’accordo se non nell’ottica di “Ospedale di Comunità” come struttura sanitaria intermedia dove si accolgono pazienti in dimissioni dall’Ospedale o che provengono dal loro domicilio, per problematiche socio-assistenziali che ne rendono difficile la gestione clinica. Lo afferma lo stesso documento ”La strategia d’area del Vallo di Diano” a cura dei Sindaci e della Comunità Montana quando , per quanto riguarda i servizi sanitari del territorio, sostiene un approccio integrato per ridurre il tasso di ospedalizzazione considerato l’elevato numero di persone over 65.E’ questo il modello organizzativo del futuro , peraltro già applicato nel Veneto , a cui bisogna guardare con interesse , sempre che la governance sanitaria in Campania non faccia prevalere gli interessi di parte a scapito della salute del cittadino.