Avv. Giovanni Falci
SALERNO – Riprendiamo e completiamo l’analisi del video che circola su whatsapp.
Le ultime slide si esprimono nel seguente modo: “grandi nel mondo” (immagini del “ italian glamour”, Ferrari, mondiali calcio 2006, Valentino Rossi, Frecce tricolore); “Gennaio 2020” (immagini del grafico che ci fa diventare primi al mondo per contagi e morti da covid 19); finale “MA” (bandiera che sventola sulla scritta) “noi siamo italiani”; “sappiamo combattere” (immagini di gladiatori e infermieri stremati dalla fatica); “la nazione più bella del mondo (immagini di città d’arte); “i nostri eroi la salveranno”; “andrà tutto bene ….. in fondo noi siamo italiani”.
Ci manca solo l’immagine del volo su Vienna del 9 agosto 1918 ideato da Gabriele D’annunzio, con la quale vennero lanciati nel cielo di Vienna migliaia di manifestini tricolori contenenti una provocatoria esortazione alla resa e a porre fine alle belligeranze.
L’abtract di questa parte del video può essere il seguente: fanatismo, retorica, verità-menzogna, buio dell’ovvietà.
Andiamo per ordine: anche questa parte del video pecca di parzialità, vengono rappresentate eccellenze italiane ma, vengono taciute situazioni italiane di segno contrario. Viene tutto presentato, cioè, senza obbiettività.
L’Italia sembra essere diventata la famiglia del “mulino bianco”.
Ora, se per quel prodotto commerciale la rappresentazione della realtà non vera ha lo scopo di invogliare la vendita, nel nostro caso del video, che cosa vuole invogliare ad acquistare l’autore dello stesso?
Anche in questa parte si “omette”: la moda italiana viene definita con termine inglese “glamour” il che la dice lunga sulla internazionalità del fenomeno; si propone la Ferrari ma si sottace che da 13 anni non vince un titolo e che i titoli sono stati vinti quasi sempre da piloti stranieri alla guida delle rosse; si propone Valentino Rossi (un mio personale idolo, intendiamoci), ma non si fa presente che non vince da 11 anni e che ha sempre vinto su moto giapponesi; si propone il trionfo nel mondiale 2006, ma non dimentichiamoci della Corea del 1966 e della Svezia del 2013.
Questo fenomeno ci introduce al discorso sulla verità e menzogna e più propriamente all’interrogativo su “che cosa è la verità?”.
Heidegger per primo ha scoperto il significato autentico di “aletheia” (verità) che è “non velatezza”; la verità deve cioè essere strappata alla velatezza che la copre. Questo deve avvenire perché il discorso dell’uomo, e nel nostro caso, il discorso del messaggio video, non trasmette interamente il vero, ma conosce anche la parvenza, l’inganno, la finzione.
C’è perciò una originaria connessione tra il vero e il discorso vero.
Con il discorso, e nel nostro caso, con il video, si presenta qualcosa e lo si fa giacere davanti a noi, lo si comunica.
Allora, come dice Aristotele, quel mio vecchio amico di Stagira in Grecia, “un giudizio è vero, quando lascia giacere davanti, come unito, ciò che, anche nella realtà della cosa, si presenta unito; un giudizio è falso, quando lascia che, nel discorso (per noi nelle immagini), giaccia davanti ciò che, nella realtà, non giace davanti unito”.
Ora è chiaro che quello che ci vuole fare apparire il filmato, l’imbattibilità dell’Italia e degli italiani e il loro trionfo, non mostra effettivamente le cose come stanno e quindi non trasmette la verità.
La rapida propagazione dei mezzi di trasmissione istantanea dei messaggi e delle immagini è un fenomeno del quale non si può ignorare l’esistenza o sottovalutarne l’importanza, ma bisogna essere vigili riguardo ai rischi che comporta.
Abbondano, infatti, gli esempi di manipolazione da parte di poteri costituiti.
Che cosa si legge tra le righe del video?
Possiamo e forse dobbiamo uscire dall’Europa!; è una opera di convincimento sublimare che sappiamo tutti da quale parte della politica promossa.
Sappiamo bene che è possibile far dire alle immagini quello che si vuole, o enfatizzando, o addirittura sopprimendo.
In effetti non ci sono più eventi al di fuori di quelli medializzati; l’espressione “evento mediatico” è un pleonasmo.
L’evidenza delle immagini ci fa dimenticare che in realtà non abbiamo visto niente, che sappiamo poco e sappiamo male.
L’effetto perverso dei media (e il video in analisi ne è un esempio eclatante), indipendentemente dalla qualità e dalle intenzioni di chi li dirige, sta nel fatto che ci insegnano a riconoscere, ovvero a credere di conoscere e non a conoscere o ad apprendere.
L’effetto perverso dei media consiste anche nel cancellare impercettibilmente la frontiera tra realtà e finzione.
Il regno delle immagini e dei messaggi che circolano in ogni direzione e in modo istantaneo grazie alle tecnologie della comunicazione fanno concorrenza alle religioni e alle filosofie di una volta.
I media strutturano il nostro tempo quotidiano imponendoci con la forza delle immagini, una certa idea del bello, del vero e del bene e anche una certa idea dell’abituale, del solito e, a conti fatti, della norma.
Allora, in chiusura, quel video ci propone una visione distorta della realtà e del progresso e della storia stessa.
L’identità collettiva o individuale, è sempre relativa all’altro, è relazionale: nel video l’altro è assente, sventola retoricamente e da sola la bandiera italiana.
Del resto lo sappiamo tutti per esperienza diretta: cambiamo, ci evolviamo, certe volte ci arricchiamo e, in ogni caso, ci trasformiamo a contatto con gli altri.
L’esempio della Ferrari e Valentino Rossi si conciliano con questa idea della relazione: auto italiane che vincono (e quindi in relazione) con piloti stranieri e pilota italiano che vince (e quindi in relazione) con moto straniere.
L’identità cristallizzata stereotipata che ci offre la visione del video è già solitudine, e, per converso, non mi ricordo chi lo dicesse, “meno solo, più esisto”.
Le culture vive, come lo è stata quella greca del mediterraneo di cui parlavo ieri, sono culture in movimento, che accettano il cambiamento, il contatto.
In questo senso quella Grecia antica è stata moderna in modo originale e ci deve invitare a riflettere.
Come le lingue cambiano se si parlano e muoiono se non vengono più parlate, così le culture, al pari degli individui, o si muovono o muoiono.
Concludendo, non si mente mai invano.
La menzogna più impudente, purché venga ripetuta abbastanza spesso e abbastanza a lungo, lascia sempre una traccia. Si tratta di un principio acquisito dalla propaganda tedesca ispirata ai servizi di Goebbels.
Tuttavia è altrettanto vero che basta dire la verità perché la menzogna stesa si sgonfi.