Maria Chiara Rizzo
Potrebbe sembrare strano, ma il re Abdallah è visto da molte donne saudite come un riformatore che sostiene la causa femminile. A partire dal 2000 il governo saudita ha lanciato una serie di iniziative per favorire l’emancipazione delle donne del regno, ma la loro realizzazione continua ad essere intralciata da numerosi ostacoli. Negli ultimi mesi, nel pieno delle rivolte della “primavera araba”, il monarca saudita ha annunciato misure sociali ed economiche e alcune di queste concernono lo statuto delle donne, ma le esigenze più impellenti restano disattese. L’alto tasso di disoccupazione e le questioni legate al diritto di voto e al rilascio della patente di guida alle donne sono gli elementi più critici della condizione femminile nel regno saudita. Il malcontento delle giovani saudite serpeggia in tutto il Paese, ma passa in sordina a causa della scarsa adesione e della debolezza dei movimenti di rivendicazione dei diritti. Il tasso di disoccupazione appare preoccupante per l’intera popolazione saudita, ma risulta ancora più allarmante quello delle donne, più esposte a causa della segregazione degli spazi pubblici anche in ambito lavorativo e del loro alto tasso d’istruzione. Infatti il numero di donne che intraprende e completa percorsi di studio è superiore a quello degli uomini. La mobilitazione delle donne saudite per ottenere il diritto al voto ha aumentato la sua portata nel corso del 2011, nonostante sia ancora lontana dall’essere massiccia, ma ha dato i suoi frutti: dal 2015 le saudite godranno del diritto di voto. Bisognerà, però, ovviare ad alcuni problemi di natura logistica: prevedere seggi elettorali per donne, separati da quelli degli uomini, e risolvere questioni legate all’identificazione delle saudite. Solo a partire dal 2002 la componente femminile ha diritto a carte di identità individuali, ma la maggior parte non l’ha ancora ottenuta. Ciò che ha avuto maggior risonanza all’esterno del Paese è stata la campagna mediatica che ha dato voce al movimento lanciato per mettere fine al divieto di guida imposto alle saudite. Tale proibizione rende difficile la vita quotidiana delle donne, poiché nelle principali città del regno, costruite su modelli americani e ampiamente estese, non è previsto il servizio del trasporto pubblico. Solo le saudite abbienti possono permettersi di muoversi in qualsiasi momento avendo a disposizione uno chauffeur personale. Da un’indagine di terreno è emerso che le giovani del regno di Abdallah non manifestano alcuna esigenza di ottenere la patente di guida per paura di muoversi nelle città, ritenute, secondo l’opinione diffusa, pericolose per giovani donne a spasso da sole. Che si tratti di un modo per incutere loro timore al fine di giustificare la onnipresenza maschile è più che probabile, ma le saudite sembrano dare credito a queste voci. La separazione degli spazi pubblici è una realtà. Adottata dagli anni 60 e praticata in tutte le regioni dell’Arabia Saudita e presso tutti i gruppi della penisola, è stata iscritta nei testi legali. Negli ultimi anni sono state create delle istituzioni per le donne, scuole pubbliche e campus universitari. Al contrario di quanto si pensi, le saudite non vivono segregate in casa: le giovani generazioni urbane studiano, lavorano e hanno degli hobby. Esse trascorrono la maggior parte della giornata in spazi pubblici il cui accesso è vietato agli uomini. Nelle grandi città sono nati centri commerciali, agenzie bancarie e luoghi di culto esclusivamente per donne. Negli spazi misti- automobili e negozi- indossano un velo integrale che copre loro il volto, ma che viene tolto in ambienti prettamente femminili. Il principale ostacolo, conseguenza della segregazione spaziale praticata nel Paese, è la riduzione delle opportunità di lavoro per le donne, essendo il personale delle aziende costituito prevalentemente da uomini. Per un’impresa assumere una donna comporta lungaggini burocratiche e problemi organizzativi legati alla gestione degli spazi. Per quanto riguarda, invece, il divorzio, la monarchia wahabita fa registrare alti tassi. Non essendo vietato dall’Islam, molte saudite fanno ricorso al divorzio nonostante si trovino costrette a restituire una parte della somma che hanno ricevuto dai loro mariti al momento del matrimonio. L’importante è divorziare prima di avere figli, altrimenti la madre ne perderebbe la custodia. Il problema non è il divorzio in sé, ma la difficoltà di una donna a vivere in Arabia Saudita senza avere accanto un uomo su cui contare. Le saudite divorziate sono maggiormente esposte alla povertà, in quanto, anche se i loro ex mariti dovrebbero versare una somma per il mantenimento, non esiste alcuna legge che li obbliga a farlo.
Un articolo interessante… di solito si parla poco della monarchia saudita, è interessante che il quotidiano di Salerno sia un giornale che copra una vasta gamma di tematiche, non solo locali ma di più ampio respiro che è difficile trovare in altri quotidiani locali. Complimenti all’autrice!