Aldo Bianchini
SALERNO – La location di assoluta qualità (il salone Genovesi della sede centrale della Camera di Commercio di Salerno) ha fatto da cornice alla presentazione del volume (così è stato definito sulla locandina) di Carmelo Conte (già ministro della Repubblica) con il titolo “l’ITALIA al tempo dei POPULISMI”; ma la location ha fatto da cornice soprattutto alla dichiarazione inattesa, e perciò ancor più sorprendente, dell’ex ministro socialista con la quale ha ufficialmente sdoganato tutti i dubbi circa la nuova candidatura di Vincenzo De Luca alla presidenza della giunta regionale campana che verrà fuori dalle urne della prossima primavera.
Ad una domanda indiscreta del conduttore della serata, Daniele Rotondo (giornalista Rai – Tg/2), ha tranquillamente risposto che è ancora prematuro per l’indicazione definitiva del candidato presidente, ma resta fermo il fatto che Vincenzo De Luca come governatore uscente ha tutte le carte in regola per un nuovo mandato presidenziale.
E Carmelo Conte lo ha detto in presenza dell’on. Piero De Luca (figlio del governatore) e dell’on. Federico Conte (suo figlio); insomma una specie di consacrazione ufficiale che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) prefigurare l’imminente ritorno dell’on. Conte nelle file del PD dopo la breve permanenza in LeU. Vedremo.
La politica è politica, amici lettori, prendere o lasciare; se fossi stato nei panni di Conte non avrei mai rilanciato il nome di De Luca come governatore dopo aver subito una marea di angherie in questi ultimi 26 anni; ma io non ho mai fatto politica attiva. E intanto, nelle ultime ore, spunta addirittura l’incredibile ipotesi di una lista di Conte e un’altra di Tonino Cuomo pro-De Luca ad Eboli.
Il resto della serata ha detto poco o niente al di là dei soliti interventi scontati dei relatori: on. Luigi Casciello (che ha sostituito l’on. Mara Carfagna), del prof. Giuseppe D’Angelo (docente di storia contemporanea presso l’Unisa) e dell’on. Piero De Luca che, almeno a me, è parso in assoluto il più lucido e concreto nella descrizione dello stato dell’arte del nostro Paese (lo ha dimostrato qualche giorno dopo anche con la sua presenza in Mattino/5 del 18 novembre, tenendo validamente testa a due donne scatenate, Sabrina Scampini e Claudia Maria Terzi, sul problema delle pensioni).
Per quanto riguarda i cosiddetti “populismi” evocati dall’ex ministro vorrei soltanto ricordare al professore di storia contemporanea, l’amico Peppe D’Angelo, che in quel 14 luglio del 1948 non fu soltanto il discorso di Palmiro Togliatti (subito dopo l’attentato) a calmare le folle inquiete; fu soprattutto la telefonata di stato che Alcide De Gasperi fece a Gino Bartali impegnato nel Tour de France per incitarlo alla vittoria. Ginettaccio era in grave ritardo rispetto al giovane ed esuberante Luison Bobet, ma il giorno dopo (15 luglio 1948) diede vita ad una delle imprese epiche del ciclismo mondiale distaccando sul “Col de l’Izoard” il suo rivale di oltre venti minuti e vincendo clamorosamente il tour; una vittoria che mandò in visibilio comunisti e democristiani che scesero in piazza per festeggiare e non per guerreggiare.
Ma la serata nel lussuoso salone Genovesi, al cospetto di un parterre d’eccezione, ha detto anche altre cose; molte delle quali sfuggite ai più.
La prima cosa che è apparsa ai miei occhi è la stridente differenza tra i cosiddetti “due figli d’arte”, Piero e Federico; Piero è arrivato scortato da uno staff di ottima qualità e buona parte della sala era schierata con lui; Federico era presente, tecnicamente, da solo. Per entrambi, ovviamente, la strada è ancora lunga (l’ho già scritto) ma allo stato mi sembra in forte vantaggio Piero De Luca.
L’altra cosa su cui riflettere è stata la presenza nel salone dell’ex parlamentare Paolo Del Mese, defilato in un angolo e con la spalla poggiata al muro; guardava, quasi incredulo, il suo ex amico Carmelo Conte quando questi si cimentava nel suo intervento infarcito di troppa “filosofia politica” che pur nella sua ottima fattura rimane molto distante dalla realtà e dall’attenzione della gente; altro che populismi. Insomma sia Conte che Del Mese mi sono apparsi come due testimoni del tempo che fu, nel corso del quale avevano comunque amministrato un forte potere centrale e decisionale che non lasciava respiro e spazio alla crescita di eventuali delfini. Un triste viale del tramonto imboccato da molto tempo anche se Conte, molto più di Del Mese, cerca di resistere all’incalzare delle ombre dell’oblio.
Cosa dire, infine, del volume scritto da Carmelo Conte; come al solito il lavoro dell’ex ministro è assolutamente pregevole e molto circostanziato nella descrizione dei fatti e delle circostanze storiche e politiche.
Non si può, però, venire a dire che “i populismi” li stiamo vivendo soltanto dal dopo tangentopoli ad oggi; sono sempre esistiti ed hanno contrassegnato la storia, nel bene e nel male, esattamente come hanno fatto altri sistemi di potere politico artatamente indicati come più democratici. I populismi, come in tante altre epoche e per tante altre e diverse ragioni, oggi forse sono soltanto il frutto di una società, superficiale e arrogante, maturata all’ombra delle nuove forme di comunicazione (i social !!) che hanno omologato tutto e il contrario di tutto e che, se da un lato hanno liberato la società dal cosiddetto “gregarismo massificante”, dall’altro hanno favorito i processi deleteri e disgregativi del forzato “nuovismo”.
Davvero ottimo apre la discussione su tanti temi. Sul populismo per esempio, ma anche sulla legittimità della candidatura di De Luca. Spero di sentirti presto. COMPLIMENTI