Avv. Cecchino Cacciatore
SALERNO – Il controllo dell’apparenza del crimine (solo il crimine percepito, cioè) e la propaganda di sicurezza costituiscono tecnica di governo e corrosione dello Stato di diritto.
Le riforme in materia penale sono l’esempio: più ergastolo, più pene interdittive perpetue, più misure anticorrotti; un processo il cui termine di prescrizione è sospeso sine die anche per gli assolti da un reato. Il messaggio deve andare nella direzione del fine pena mai e del fine processo mai, con lo scopo del controllo sociale per via giudiziaria.
Si prenda il caso della modifica del giudizio abbreviato, non più ammesso per i delitti puniti con l’ergastolo. Un intervento- al pari di altri modificativi del settore penale- che si inserisce organicamente in una concezione illiberale, in cui la contrapposizione fra libertà e sicurezza è fondamentale addirittura per la trattazione della tutela dei diritti umani.
Ciò che è messo in risalto dalla sequenza degli ultimi interventi legislativi è lo stravolgimento della predominanza della tutela giuridica dell’individuo in quanto tale, nella misura in cui sia “percepito” che la vita dello Stato sia messa in pericolo da soggetti da considerarsi non cittadini, ma nemici.
Con la strumentalizzazione e l’ amplificazione dell’allarme sociale, un governo- come sta accadendo- organizza la paura in modo da anticipare la percezione della soglia di rischio di attentato ai beni dei singoli ed attua l’utilizzo della pena esclusivamente a fini eliminatori dei presunti autori della paura stessa, ponendo diritti e garanzie in un piano inesistente, mediante la neutralizzazione fisica del criminale in nome della tutela della società.
Anche in questo aspetto va ricercata la ragione (se di ragione possa parlarsi) della riforma del giudizio abbreviato, ad esempio. La quale, in controtendenza rispetto a tutto il dibattito circa la compatibilità in un sistema democratico tra la pena detentiva perpetua e la finalità di rieducazione del condannato (come imposto dalla nostra Costituzione), bada piuttosto a considerare gli autori dei crimini più gravi non meritevoli di risocializzazione, propendendo per una concezione meramente repressiva ed antiumanitaria. Coloro che vengono accusati di reati più gravi, nel senso di destare il maggiore allarme sociale, alimentato e sbandierato come obiettivo politico da realizzare mediante una sua eradicazione costi quel che costi, non sono- secondo questa concezione- più soggetti titolari dei diritti universali della persona perché, dal momento che in una tale ottica politica sono nemici dello Stato, sono non persone e dunque per loro ben può sospendersi ogni diritto e ogni garanzia.
Un diritto penale di tal fatta (del nemico) contiene un potenziale distruttivo della civiltà del garantismo per come è stata finora a fatica costruita: non la persona al centro, ma la pena quale elemento ultimo su cui poggia la stabilità e la solidità di una società pacificata.
Ciò che viene messo in discussione (autore delle tesi è il giurista tedesco Jakobs, ispiratore efficace di tali approcci) è proprio il postulato secondo cui ogni essere umano è e deve essere trattato come una persona in diritto; al contrario, il delinquente nemico va fisicamente neutralizzato. Come? Congelandolo in un processo senza fine e, per i reati più gravi, in un carcere senza fine.
C’è da preoccuparsi: così si dissolve il legame tra uguaglianza e diritti umani sul quale si fonda il diritto penale liberale e svanisce il rapporto democratico tra potere e diritto penale stesso, nel senso che quest’ultimo dalla nostra Costituzione è inteso quale limite alla forza dello Stato, non come sua espansione illimitata ed arbitraria.
Ma perché tanta attenzione da parte del governo al diritto e al processo penale?
Perché, come sostiene Agamben, la sicurezza è un dispositivo di governo.
Il complesso del diritto penale è un sistema per sua natura sensibile agli umori della gente, perché è ciò che più direttamente risponde alle domande di sicurezza ed allo stesso tempo, come afferma Ferrajoli, è elevata la capacità di contagio e di corruzione dell’immaginario pronto a credere che l’annientamento dei diritti e delle garanzie renda salvi dal crimine.
L’ultimo aspetto critico riguarda il compito e il ruolo della magistratura, la quale, suo malgrado -atteso che è tenuta ad applicare la legge- corre il rischio (non ammissibile) di trasformarsi in una magistratura di scopo, di realizzazione dello scopo securitario, minando di fatto i requisiti dell’autonomia e dell’indipendenza che, anche per questa via, soffrono indirette, ma allo stesso modo, illegittime interferenze.