Di Manuel Moliterno
NOCERA INF. – L’udienza del 29/05 del processo “Sarastra”, che si sta celebrando davanti al Tribunale di Nocera Inferiore, (collegio presieduto da ottimi ed attenti magistrati, presidente giudice dott. Raffaele Donnarumma, a latere Noschese e Palumbo), si è aperta con la notizia, fornita dal Presidente del collegio Donnarumma, dell’assenza del collaboratore di giustizia Romolo Ridosso per l’udienza di quest’oggi, giustificato per motivi di salute tramite certificazione medica.
In seguito, l’udienza è proseguita con il contro-esame del collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, che ha rilasciato le sue ennesime dichiarazioni dal sito riservato ove è inserito nel programma di protezione in quanto collaboratore di giustizia. Ha esordito il contro-esame il giovane, ma già di comprovato esperienza e di infallibile acume, avv. Roberto Acanfora di Scafati (difensore dell’imputato Andrea Ridosso). L’avv. Acanfora, con un pathos alquanto apprezzabile, ha aperto il contro-esame “ringraziando” il pentito Loreto, riconoscendogli quanto sia difficile “avere parentele scomode” ed “intraprendere la strada della legalità”. Roberto Acanfora ha proseguito, affermando e riconoscendo che il suo assistito Andrea Ridosso “si trovò di fronte ad un bivio” a seguito dell’omicidio del padre, e decise di seguire così la strada della legalità invece che quella della criminalità: Alfonso Loreto, a precisa domanda dell’avv. Acanfora, ha confermato che il ragazzo (ad oggi, si ricorda per dovere di cronaca, ancora completamente incensurato), è sempre stato “estraneo al clan”. Il legale ha poi proseguito contestando ad Alfonso Loreto che l’ipotesi del voto di scambio di voto e del relativo ruolo sinergico di Andrea Ridosso nasce proprio da Loreto, costituisce insomma aolo un suo “costrutto mentale”. Loreto, infatti, non era fisicamente presente durante gli incontri tra Andrea Ridosso e l’ex Sindaco Aliberti in cui si sarebbe concretizzato il patto politico-mafioso. Alfonso Loreto era, in quel periodo, detenuto agli arresti domiciliari, e non avrebbe affatto potuto presenziare personalmente agli incontri. Il legale, poi, ha proseguito affermando che il pentito è stato, nelle sue precedenti dichiarazioni, “poco chiaro” sul presunto ruolo di Andrea Ridosso, tuttavia ne ha voluto rimarcare alcuni “passaggi illuminanti”:
- Andrea Ridosso, come già ampiamente esposto, era un elemento del tutto estraneo alla compagine del clan Ridosso/Loreto;
- Andrea Ridosso, secondo le dichiarazioni del pentito, agì come intermediario, e ci sarebbe stato anche il consenso dello stesso Andrea”.
Sul punto, dunque, l’avvocato gli ha chiesto se fosse possibile che Andrea volesse candidarsi solo per aspirazioni personali e non “a nome del clan, come intermediario del clan”. Loreto ha risposto che “è possibile che potesse essere anche una precisa volontà di Andrea Ridosso, MA FACEVA COMUNQUE PARTE DELLA FAMIGLIA”. Loreto intende, evidentemente, che a suo parere è pur vero che Andrea Ridosso avesse aspirazioni personali per la carriera politica, ma dato che era un componente della famiglia dei Ridosso, automaticamente agiva anche in nome e per conto del clan Ridosso/Loreto.
È stata sottolineata la circostanza che Andrea si dispiacque per la mancata candidatura (l’ex Sindaco Aliberti, infatti, si sarebbe rifiutato di proporlo a causa del “cognome pesante). L’avv. Acanfora ha sottolineato un aspetto logico: perchè Andrea Ridosso si dispiacque, se dalla mancata candidatura comunque egli ne trasse giovamento (visto che secondo il Loreto aveva agito in nome e per conto del clan, commettendo dunque un reato)? Loreto, di rimando, ha ribadito che questo modo di pensare non rispecchia quelli che furono i sentimenti di Andrea, “che comunque pagava le conseguenze del suo cognome”.
Acanfora ha contestato a Loreto una parte delle sue dichiarazioni davanti al P.M. del 16/03/2016 riguardo l’incontro tra Andrea Ridosso e l’ex Sindaco Aliberti”. Loreto, in quell’interrogatorio, avrebbe dichiarato: “Andrea mi disse che erano tanti, ma non specificò quanti erano”. Gli ha chiesto, dunque, se confermasse questa circostanza: Loreto ha confermato, ma ha dichiarato che, a suo parere, “non c’era bisogno di specificare”.
Durante il processo, poi, Loreto ha parlato nelle precedenti udienze del pestaggio a Roberto Barchiesi, che per Loreto sarebbe stato indice della “forza intimadrice del clan”. Acanfora, sul punto, ha calcato la mano, pretendendo di sapere da Loreto chi fosse specificamente la persona che eseguì il pestaggio a Roberto Barchiesi: Loreto ha risposto che fu un tal “Carluccio o’ Napulitan”, che è stato identificato in Carlo Lamboglia. Acanfora ha chiesto espressamente se il pestaggio fosse riconducibile alle vicende del clan, ed egli ha risposto affermativamente.
A questo punto, ha proseguito l’avv. Giordano per l’imputato Ciro Petrucci. Il legale ha chiesto a Loreto se conoscesse Ciro Petrucci, e se sì quando lo conobbe. Loreto ha risposto che conosce Ciro Petrucci visivamente “da sempre” perchè “sono entrambi originari di Scafati”. Ne venne però a contatto quando Ciro Petrucci si avvicinò a Luigi Ridosso, probabilmente negli anni 2010-2011. Sul punto, però, l’avv. Giordano ha contestato a Loreto che nelle dichiarazioni al P.M. dell’11/03/2016 Loreto dichiarò circostanze diverse sui riferimenti temporali della conoscenza con Petrucci. Loreto si è giustificato, affermando che in quelle dichiarazioni fu colto da un “lapsus”: “mi sbagliai sulla data, perchè era un periodo molto particolare”. La contestazione dell’avv. Giordano riguarda il fatto che nelle dichiarazioni dell’11/03/2016, Loreto dichiarò che CONOBBE Petrucci pochi prima della nomina come vicepresidente dell’ACSE. Loreto ha, poi, dichiarato che Ciro Petrucci è sempre stato estraneo alle dinamiche criminali del clan Ridosso/Loreto, anche se comunque era amico, conoscente, di alcuni dei componenti. È stato chiarita la circostanza che Ciro Petrucci, ai tempi della sua nomina all’ACSE, era disoccupato, non aveva un posto di lavoro, e non aveva mai avuto esperienze lavorative (fino ad allora) nella Pubblica Amministrazione. Alfonso Loreto, però, non ha saputo dire se Petrucci fosse stato nominato all’ACSE in qualità di “sostituto di qualcuno”.
L’avv. Giordano ha chiesto a Loreto se per la nomina all’ACSE, oltre a Ciro Petrucci, avessero in mente altri nomi alternativi: effettivamente, Loreto ha risposto che avevano in mente ” altri due o tre nomi”, “ma era solo un’idea del clan, ma attuata, perchè Luigi Ridosso decise per la nomina di Ciro Petrucci”. Però, effettivamente, vi erano altri contendenti, ma Loreto non ha saputo indicare con precisione chi fossero, nè quando si affrontarono tali discorsi. Non rammentava neanche quando fosse avvenuta la nomina, “perchè in quel periodo era detenuto”: secondo la sua memoria, la nomina all’ACSE sarebbe avvenuta intorno al 2013-2014. Fu, comunque, Luigi Ridosso a riferire a Loreto che vi fossero dei contendenti per la nomina, ma non ha sapunto indicare quanto tempo prima della nomina stessa venne riferito.
È stato chiesto a Loreto se i lavori all’ACSE “fossero affidamenti diretti o appalti”, ma Loreto neanche su questo punto ha saputo fornire certezza, affermando che “di tutto se ne occupava Luigi Ridosso, dato che lui era detenuto”. Non rammenta neanche quanto fosse l’importo di questi lavori: i proventi, però, dovevano essere divisi per tre, ma non rammenta quanto tempo tali lavori dovessero durare.
A questo punto, ha preso la parola l’avvocato difensore dell’imputato Giovanni Cozzolino, che ha rimarcato una dichiarazione che il Loreto già rilasciò alla precedente udienza: ovvero, di conoscere Giovanni Cozzolino e di averlo incontrato, per la prima volta, al presunto incontro presso la fabbrica di Aniello Longobardi. Prima, però, lo conosceva di vista.
In ultimo, ha condotto il contro-esame l’avvocato difensore dell’imputato Roberto Barchiesi, che gli ha chiesto di descrivere i componenti del clan Ridosso/Loreto, ovvero l’organigramma del clan stesso: il clan era formato, secondo il Loreto, da Alfonso Loreto stesso, Romolo Ridosso, Gennaro Ridosso, Luigi Ridosso e altre persone che vi orbitavano. Il direttivo del clan, dunque, era costituito da Loreto, Luigi e Gennaro Ridosso. Tutti gli altri erano “affliati subalterni”.
È stato chiesto espressamente a Loreto quanti procedimento penali abbia in corso insieme ai personaggi citati che avrebbero con lui diretto il clan: Loreto ha risposto di rammentare, per quanto sua conoscenza, una condanna definitiva quando fu arrestato nel settembre 2015. Questa condanna era già conosciuta effettivamente, ma dalle dichiarazioni di Loreto emergerebbe che il clan Loreto/Ridosso fosse una complessa organizzazione criminale, quando invece dal casellario giudiziario risulta una sola condanna definitiva in concorso tra i citati soggetti! La storia giudiziaria insegna che, invece, i componenti delle complesse organizzazioni criminali vantano molte più condanne definitive in concorso, e per ben più gravi reati.
Il legale ha poi chiesto a Loreto la composizione dei suoi familiari più stretti e quali familiari rientrano nel suo programma di protezione in qualità di collaboratore di giustizia: Loreto ha risposto che nel programma di protezione ci sono sua sorella, i suoi figli e la sua attuale compagna. Ha precisato che la sua compagna, al momento, è una persona diversa dalla donnna che sposò nel 2007, ovvero Giovanna Barchiesi, e da cui ha avuto dei figli. Alfonso Loreto si sposò nel 2007 con Giovanna Barchiesi, ma i rapporti si interruppero quando Loreto andò via da Scafati. Il rapporto affettivo-coniugale, però, si interruppe molto prima, probabilmente nel 2011-2012. Loreto ha precisato di non avere contatti, attualmente, con Giovanna Barchiesi, ma si è rifiutato di precisare i motivi dell’interruzione del rapporto, “perchè sono vicende strettamente personali”.
Alfonso Loreto ha precisato di conoscere l’imputato Roberto Barchiesi dall’infanzia, proprio in quanto zio della ex moglie Giovanna Barchiesi. Loreto ha precisato che Barchiesi non aveva avuto precedentemente delle esperienze politiche, anche se era fortemente affascinato dal mondo politico. Quando l’ha conosciuto, lavorativamente Barchiesi si occupava della lavorazione di pomodori.
Come ormai risaputo, il Barchiesi, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe stato individuato per fornire attuazione allo scambio elettorale politico-mafioso con l’ex sindaco Aliberti in qualità di “testa di legno”, in luogo di Andrea Ridosso, che aveva ricevuto il rifiuto alla candidatura da Aliberti a causa del suo “cognome pesante”. In luogo di Andrea Ridosso, venne individuato Barchiesi per via del rapporto di parentela che intercorreva con Alfonso Loreto (rapporto di affinità, in quanto zio della ex moglie). Quando ebbe luogo la campagna elettorale per le elezioni amministrative di Scafati del 2013, Raffaele Lupo compose la lista “Grande Scafati”. Lupo, effettivamente, voleva candidare Umberto Di Lallo, mentre Aliberti puntava insieme al clan su Roberto Barchiesi. L’avvocato ha chiesto, allora, il patto da quale compagine fosse compresa: come già emerso dalle precedenti udienze, è emerso che il clan Ridosso/Loreto puntava su Barchiesi, mentre Raffaele Lupo su Umberto Di Lallo. L’accordo, dunque, risulta essere più ampio rispetto alla prospettazione accusatoria: il progetto era unico, rientrava anche Umberto Di Lallo. I voti per Barchiesi furono acquistati dal clan, e controllavano anche il voto di alcune persone. Il legale ha voluto sapere se furono attuate anche modalità diverse per procacciare voti a Barchiesi: sì, magari procacciando lavoro, andando porta a porta, anche tramite amici/conoscenti. Ci furono anche persone che si esposero per “farsi belle col clan”, ma queste persone non furono manovrate/pilotate. Si trattò solo di attestazioni di stima. Il clan non usò mai la violenza o la minaccia: dopo la prima fase omicidiaria, il clan Ridosso/Loreto non fu mai violento. Ascoltarono le proposte elettorali del clan solo per timore reverenziale: Loreto ha confermato che se non avessero portato i cognomi “Ridisso” e “Loreto”, non sarebbero mai riusciti a procurare voti.
L’attenzione si è spostata poi sulla sezione elettorale n. 32 di via Martiri d’Ungheria a Scafati, in cui Loreto si dichiarava convinto che confluirono le preferenze maggiori. Il legale ha voluto sapere il motivo di questa convinzione. Loreto ha affermato che venne arrestato immediatamente all’alba del giorno in cui fu effettuato lo spoglio elettorale, quindi non conosceva in quel momento i dettagli dei risultati: questa informazione la veicolò Luigi Ridosso quando Loreto fu scarcerato. Il fatto è che, secondo i dati ufficiali della Prefettura, Roberto Barchiesi ricavò solo 10 preferenze in quella sezione.
È ormai noto il pensiero del clan sull’operato di Barchiesi come consigliere comunale: “Barchiesi non porta niente a casa, non porta niente a noi. Fa il tira e molla”. Il clan era molto deluso sull’operato di Barchiesi, perchè non apportava risultati concreti e non sollecitava il sindaco al rispetto degli accordi. Quindi, decisero di convocare il Barchiesi, pretendendo si dimettesse. Barchiesi, però, ritirò le dimissioni, quindi prese una scelta diversa rispetto agli ordini del clan, perchè era stato persuaso dal Sindaco a non dimettersi. Da Barchiesi, però, non arrivò mai nulla.
Al clan Ridosso/Loreto arrivò la proposta di avere l’appalto al verde pubblico, ma Loreto ha dichiarato di non ricordare chi fosse in quel momento l’assessore al verde pubblico. Sul punto è stata reiterata la contestazione sulle dichiarazioni contenute nel verbale di dichiarazioni al P.M. del Loreto, in cui quest’ultimo avrebbe nominato l’assessore Raffaele Sicignano. L’appalto, in ogni caso, valeva pochi spiccioli, per cui rifiutarono.
La solidità di Aliberti, qualche anno dopo le elezioni del 2013, cominciò ad essere claudicante, e ciò avrebbe potuto determinare la solidità dell’amministrazione. Il primo eletto fu Barchiesi. Secondo il Loreto, il secondo non eletto era Umberto Di Lallo, ma questa intuizione del clan risulta essere errata, perchè secondo i dati ufficiali della Prefettura il vero secondo non eletto della lista civica “Grande Scafati” era Espedito De Marino: le dimissioni di Roberto Barchiesi avrebbero determinato il subentro in consiglio comunale non di Umberto Di Lallo, ma di Espedito De Marino.
Alfonso Loreto ha dichiarato che il quartiere dove è nato e cresciuto è Mariconda, quartiere noto di Scafati.
È stato chiesto a Loreto cosa accadde dopo il pestaggio a Barchiesi: quest’ultimo si recò da Loreto e gli raccontò che era stato aggredito, ma principalmente per un’altra vicenda. Loreto fece finta di non saperne nulla. Barchiesi, addirittura, sanguinava. Successivamente Barchiesi tornò da Loreto e c’era, in quell’occasione, anche Luigi Ridosso: si accorsero che, in quel momento, aveva un registratore. Con Luigi Ridosso, in ogni caso, si parlò della programmazione, ma il pestaggio passò in secondo piano. Il motivo per cui fu percosso, secondo Loreto, era perchè serpeggiava all’interno del clan il dubbio che Barchiesi stesse mentendo. Ebbero la conferma del suo doppio gioco all’atto della convocazione di Barchiesi: da ciò si deduce che non vi era comunicazione e coordinamento tra i membri del patto elettorale politico-mafioso.
La sezione elettorale di riferimento del quartiere Mariconda è la n.13: secondo i dati ufficiali della Prefettura, Roberto Barchiesi (alquanto stranamente, dato che Mariconda rappresenta la roccaforte del Loreto) solo 6 preferenze.
Alfonso Loreto, in ultimo, ha dichiarato di conoscere un tal sig. Generale, zio della moglie di Dario Spinelli. In questa vicenda, avrebbe avuto solo il ruolo di amico di Roberto Barchiesi, ma nessun ruolo di rilevanza.
La prossima udienza è prevista per mercoledì 5 giugno, quando l’avv. Michele Sarno, l’altro difensore di Andrea Ridosso, completerà definitivamente il contro-esame di Loreto. Si procederà poi con la testimonianza di Romolo Ridosso.