Aldo Bianchini
SASSANO – Non ho mai lasciato le cose a metà e per questo motivo spesso sono ritornato sugli argomenti per completarne la loro spiegazione, anche se gli stessi non fanno più notizia.
Pensare di poter ricostruire una vicenda complessa, articolata e tuttora in gran parte inesplorata come quella dell’uccisione dei due carabinieri Fortunato Arena e Claudio Pezzuto, nel pieno centro urbano di Faiano di Pontecagnano la sera del 12 febbraio 1992, sarebbe come voler comprimere in una bottiglietta di plastica l’intero Mar Tirreno. Ci vorrebbero dei libri, e un giornale non è un libro. Sulla vicenda sono stati scritti diversi libri, ma ancora sussiste la necessità di scrivere per cercare ogni volta ad avvicinarsi sempre di più alla verità che è, ripeto, ancora avvolta dalle ombre di molti misteri.
Lo scorso 12 marzo a Sassano, nell’ambito delle attività scolastiche, gli studenti dell’Istituto Comprensivo “G. Falcone” hanno avuto la possibilità di assistere alla presentazione del libro “Quell’ultimo sguardo – Claudio Pezzuto un eroe moderno”, scritto dal giornalista Mario Lamboglia con il supporto del racconto di Tania Pisani Pezzuto, la moglie giovanissima di Claudio rimasta vedova con un bambino di pochi mesi da crescere. Claudio Pezzuto era un carabiniere. La sera del 12 febbraio 1992, insieme al collega Fortunato Arena, era in servizio a Faiano per un normalissimo posto di blocco stradale disposto dalle Superiori Autorità militari. All’improvviso da un fuoristrada, fermato per un controllo, vengono esplosi colpi di pistola e di mitra da parte di due malviventi; i due carabinieri cadono vittime del dovere.
Ho letto attentamente il libro presentato a Sassano e confermo quanto già scritto nel precedente articolo: “… il bravo giornalista Mario Lamboglia ha verosimilmente costruito la struttura del suo libro-racconto che tocca le corde della commozione e descrive tutti quei momenti drammatici che la giovanissima moglie di Claudio da quella sera è stata costretta a vivere, suo malgrado, fino ai giorni nostri e verosimilmente per tutto il resto della sua vita. Momenti drammatici che, è giusto ricordare, ha vissuto anche Angela Lampasona Arena, l’altra vedova della tragedia …”.
Dunque il libro, scritto a due mani da Lamboglia e la vedova Pezzuto, non è esaustivo e non tratta diffusamente la complicata vicenda in quanto si ferma all’analisi del dolore soltanto di una delle parti in causa, estremizzato da Tania (vedova di Claudio Pezzuto) che ha dedicato tutta se stessa al ricordo del marito ed alla crescita del figlio senza mai pensare a rifarsi una vita, senza toccare le figure di altri personaggi in campo come la vedova di Fortunato Arena, Angela Lampasona; e perché no anche quelle dei due assassini Carmine De Feo e Carmine D’Alessio che nel libro di Lamboglia non vengono citati neppure una volta. Dato atto alla vedova Pezzuto che è riuscita, da sola, a diventare un simbolo (questo nel libro non c’è scritto) che ha superato addirittura quello immaginario di Rosaria Costa (vedova di Vito Schifani, ucciso insieme a Giovanni Falcone a Capaci) che una vita, invece, se l’è rifatta dopo aver ammutolito l’Italia intera con quel suo intervento gridato in chiesa durante i funerali, bisogna necessariamente dire che il libro è carente da diversi punti di vista e va preso ed analizzato soltanto come uno dei tanti tasselli utili per la ricostruzione di una vicenda molto più complessa.
Per carità, l’autore sceglie cosa e come scrivere ma chi organizza le presentazioni deve comunque, nel rispetto dei fatti, evidenziare sempre che nella storia c’è un’altra vedova e ci sono due persone che con tutti i loro spregevoli difetti, come gli assassini D’Alessio e De Feo, hanno vissuto anche loro delle vite maledette. Solo per fare un esempio perché non ricordare che, come molti altri assassini prima di lui, anche per Carmine D’Alessio arriva in carcere il momento della poesia che sembra mettere in evidenza l’esistenza di un’anima e di una coscienza. Nel carcere scrive “Passato” una poesia di pochi versi che per dovere di cronaca riportiamo qui di seguito:
- · Passato sofferente. Ed a volte violento. Passato pesante come una catena. Che imprigiona il corpo e la mente. Passato da ricordare. Per ricominciare. Perdonare e farsi perdonare
Il libro di Lamboglia appare, almeno ai miei occhi, come una fuga in avanti alla ricerca, non della possibile verità sulla strage, di una identità capace di distinguere in tante storie diverse l’unica vera storia che ha visto protagonisti quella sera maledetta quattro persone, più l’autista del fuoristrada, nel centro di Faiano di Pontecagnano. E di riflesso ben quattro famiglie diverse, prima fra tutte quella del carabiniere Fortunato Arena e della moglie Angela.
Scrivo questo, e lo faccio sicuramente con una certa fatica ed anche imbarazzo, perché la “fuga in avanti” di cui prima ha suscitato all’interno dell’Arma dei Carabinieri (anche ai suoi massimi livelli) un certo velato imbarazzo non fosse altro che per il fatto che l’Arma, in buona sostanza, tenta sempre di mantenere uniti (nella fattispecie) i sacrifici dei due servitori dello Stato che immolarono la loro vita per onorare il compito loro assegnato.
Naturalmente rimane indelebile sullo sfondo quell’ultimo sguardo di Claudio Pezzuto come l’incognita vera dell’intera vicenda.