Aldo Bianchini
SALERNO – Prendo nuovamente spunto da un’ottima riflessione di Salvatore Memoli (manager, avvocato e politico) pubblicata da “le Cronache” sotto il titolo di “Il processo a Gesù” per andare alla ricerca, ove possibile, di una qualche similitudine tra il vero processo a Gesù Cristo e quello intentato dalla giustizia moderna e nostrana a carico di “don Nunzio Scarano”.
In verità nella riflessione di Memoli non si fa nessuna citazione diretta al caso giudiziario di don Nunzio, ma le allusioni sono evidentissime ed anche molto pertinenti; questo mi dà la possibilità di andare anche oltre perché, a mio sindacabile giudizio, il processo a Gesù è meno grave del processo a don Nunzio in quanto la genesi di tale azione violenta è profondamente diversa.
Difatti se il Sinedrio antico fu chiamato a fermare, giudicandolo per quello che non era, un giovane dal nome di Gesù Cristo che si presentava come portatore di un messaggio di comunità sociale innovativa e rischiosa per l’assetto giuridico – giurisdizionale e istituzionale dell’epoca (molto fragile per la complessità dei rapporti politici con Roma è giusto credere che il processo a Gesù, ancora avvolto nella nebbia più fitta, fu un processo al cambiamento sociale e spirituale che nonostante la crocifissione andò avanti e trionfò. Insomma ci fu la necessità storico-politica del sacrificio di Cristo.
Nel caso del processo a don Nunzio la spiegazione è sostanzialmente diversa e molto più pericolosa di quello a Gesù; difatti il Sinedrio di oggi (la Chiesa e la giustizia civile) è chiamato probabilmente (ma qui le ipotesi si accavallano alle ipotesi) a nascondere i fatti e i misfatti economico-finanziari della Chiesa che, forse casualmente, sono stati portati allo scoperto dal giovane sacerdote salernitano, esperto di procedure finanziarie e pratiche bancarie.
Dunque se nell’antico processo c’era in ballo una rivoluzione epocale dei costumi religiosi e sociali, nel processo di oggi c’è una difesa corporativa di un sistema di potere corrotto ed ormai logoro che, però, resiste e che neanche Papa Francesco riesce decisamente a smantellare nonostante gli scossoni che di tanto in tanto lancia contro.
Nel processo a Gesù c’era in discussione la fede religiosa e l’uguaglianza tra i popoli; nel nostro caso c’è la vigliacca copertura di mostruosi flussi illeciti di denaro; ed è quanto dire.
Ed a tutto questo, già grave di per se, si aggiunge anche la brutalità con cui a volte alcuni esponenti della Chiesa Cattolica si muovono per coprire e depistare fatti e misfatti che devono rimanere forzatamente avvolti nei segreti più bui della storia. E non solo la brutalità ma, nel nostro caso, ad essa si aggiunge anche la disumanità di alcuni atteggiamenti, provati, testimoniati e testimoniabili.
Vi racconto un episodio significativo.
Don Nunzio Scarano, grazie al suo difensore storico avv. Silverio Sica (immarcescibile ed autorevole membro dell’avvocatura salernitana), in condizioni fisiche pietose viene trasferito dal carcere di Roma in quello di Salerno e subito dopo nell’Azienda Ospedaliera Ruggi per essere sottoposto ad interventi operatori e cure molto delicate (siamo nel luglio-agosto del 2013).
Qualche giorno dopo il suo ricovero il parroco dell’ospedale fa visita a don Nunzio che in un momento di grande contrizione chiede al parroco di poter vedere “il sacerdote” della Chiesa salernitana per poter confidarsi e semmai confessarsi con lui, direttamente. Passa qualche giorno e “il sacerdote” va in ospedale a far visita all’ammalato per sincerarsi sulle sue reali condizioni di sofferenza fisica. Ma a margine della visita accade un fatto clamoroso, cioè l’invito a don Nunzio di consegnare “i documenti”. Quali ? non è dato sapere.
Insomma, invece di somministrare i sacramenti come richiesto dal sacerdote quasi in fin di vita, “il sacerdote” si preoccupa della possibile esistenza di non meglio precisati documenti.
Ma la storia non finisce qui; il sacerdote allettato risponde, andreottianamente, che i documenti sono tutti ben custoditi nel suo cervello.
Ovviamente c’è dell’altro, e la storia continua.
Dopo alcuni mesi da quel fattaccio, al sacerdote caduto in disgrazia viene tolto qualsiasi mezzo di sostentamento e a causa della revoca di tutti gli incarichi non gli vengono nemmeno versati i contributi previdenziali (di questo parlerò in un prossimo articolo !!); passa ancora del tempo e nella casa del “Sinedrio” arriva un caro amico di don Nunzio per perorare la sua causa e chiedere la giusta carità che merita per poter sopravvivere. Risposta negativa, severa e durissima; al massimo poteva essere concessa una gratificazione di 150 euro con i quali avrebbe dovuto vivere per oltre quaranta mesi.
La Chiesa, in alcune sue manifestazioni, non ha pietà, è disumana; soltanto così il suo potere temporale continua da oltre duemila anni.
Il processo della storia ci dice che Clavio di fronte a Gesù risorto lasciò cadere la sua spada; di fronte a don Nunzio crocifisso è giusto che qualcuno mostri almeno un segno di buona volontà.
Leggendo l’articolo (chiaro e coraggioso) ho pensato -chissà perché- al Papa Albino Luciani, a Emanuela Orlandi, all’apostasia (o più semplicemente all’agnosticismo o ateismo avanzante -intesi come allontanamento dalla fede-).
Qualcuno mi aiuti a capire… Grazie.