Aldo Bianchini
SALERNO – Un sofferente giunge nel pronto soccorso dell’A.O.U. (Azienda Ospedaliera Universitaria) di Salerno, meglio noto come “Ruggi”; e qui, secondo la versione del figlio del paziente (avvocato salernitano), comincia l’odissea che sempre sulla base del racconto del congiunto si sarebbe prolungata tra carenze organizzative, mancanze professionali, rapporti disumanizzati e attese infinite, per quasi un’intera giornata fino a quando viene deciso il ricovero in reparto per le cure del caso.
Il paziente, ribadisce invece l’ospedale con un apposito comunicato, è stato accolto secondo quanto dettato dal giuramento di Ippocrate, trattato nel migliore dei modi ai fini sanitari, sorvegliato attentamente durante tutto il tempo che ha dovuto sostare in pronto soccorso ed infine ricoverato nell’apposito reparto nel momento in cui si è aperta la possibilità di un posto letto definitivo.
Queste le due versioni di un “caso di presunta malasanità” che sta tenendo banco sulla stampa locale; la domanda è: “chi ha ragione ?”.
Se chiedessimo ai cittadini normali la risposta sarebbe assai scontata in favore del paziente, nonostante la premura sicuramente impiegata per la tutela fisica del paziente e la professionalità espressa dagli operatori del pronto soccorso.
Il problema è proprio questo; il messaggio di malasanità passa subito e travolge anche la stragrande maggioranza della buona sanità.
Questo vuol dire che negli ultimi decenni la sanità pubblica, forse suo malgrado, ha scavato una trincea quasi incolmabile tra la sua buona operatività e le attese a volte esasperate dei pazienti.
Al centro, ovviamente, c’è sempre l’uomo che veste i panni del medico, dell’infermiere, del paziente ed anche dei congiunti di quest’ultimo; e l’uomo come ben sappiamo interagisce sempre e comunque in maniera assolutamente diversa sia dal giuramento di Ippocrate (che spesso gli operatori non conoscono), sia dalla singola professionalità, sia dalla reazione dei pazienti e sia dalle esuberanze dei parenti.
Allora cosa fare ? chiederebbe il semplice cittadino.
Bisognerebbe innanzitutto far passare un principio in assoluto: “Dietro ogni paziente c’è una persona malata, e quindi indifesa, che va rispettata in maniera totale”, al di là di ogni ragionevole stanchezza dell’operatore o di insofferenza del paziente. Non ci sono mezze misure, questa è una regola ferrea che deve fermare chiunque, dal direttore generale dell’ospedale fino al più umile ma utile addetto alla pulizia. Dopo, soltanto dopo, si può anche passare ai giusti chiarimenti ed alle spiegazioni, urbane e comprensibili, del modello lavorativo che ogni organizzazione ospedaliera si dà per far fronte all’enorme richiesta di assistenza sanitaria che viene dalla popolazione.
Qualche settimana fa ho avuto modo di incontrare e conoscere da vicino il direttore sanitario dell’AOU, dr. Cosimo Maiorino, con il quale ho avuto modo di dialogare, con grande reciproco rispetto dei ruoli, sulla sanità in genere e sui problemi sopra enunciati in particolare.
Il direttore sanitario ebbe modo anche di suggerirmi che al di là degli uomini che esistono dietro gli operatori e dietro i pazienti c’è, comunque, un altro problema che a volte è insuperabile: la struttura ospedaliera; difatti quella del Ruggi a prima vista non appare così come ideata e costruita quarant’anni fa in linea con le moderne esigenze ospedaliere.
Solo per fare un esempio è giusto ricordare che il pronto soccorso del Ruggi è, forse, l’unico al mondo in cui bisogna fare una curva ad U per fermarsi di fronte all’entrata di accoglienza; una stortura incredibile che non si riesce a rigenerare al meglio. Certo la curva ad U c’entra poco con il modo di accogliere e di curare, così come non c’entra con le aspirazioni spesso un tantino forzate dei pazienti, ma è la cartina di tornasole di un “sistema sanità” che comunque stenta a decollare nonostante le ineccepibili professionalità che vi operano al suo interno, spesso a prezzo di duri sacrifici personali e relazionali.
Quello del pronto soccorso è, quindi, un problema che è al centro dell’attenzione dei vertici dell’A.O.U., un problema che ha prodotto da qualche giorno anche l’inserimento nel modulo organizzativo del cosiddetto “bed manager” (dott.ssa Rosa Sammartino) per la disciplina, la selezione e la cura dei ricoveri che, ricordiamolo a tutti, nel Ruggi sono eccessivamente sovraesposti rispetto al numero della popolazione che in altre realtà evidenziano statistiche molto più contenute.
La domanda compresa nel titolo di questo articolo può avere risposte diverse; nessuna, però, sarà in grado di gratificare l’attenzione e la professionalità con cui gli operatori sanitari si dedicano alla cura dei paziente e neppure di soddisfare le aspettative dell’utenza.
Dietro ogni problema c’è l’uomo; solo lui può rispondere e recuperare la profondità della trincea che, è bene ricordare, ha sempre due sponde contrapposte.
Ben detto: “dietro ogni problema c’è l’uomo”.
La persona malata è un uomo o una donna, in ambedue i casi, che spesso percepisce un disagio nel vivere il proprio “status” di bisogno degli altri, nella fattispecie degli Operatori della sanità pubblica.
Questi ultimi, uomini e donne, operano in un Sistema, che da poco ha “festeggiato” i quarant’anni dalla fondazione (Legge 23 dicembre 1978, n.833). Questo sistema, prima nazionale, poi regionale ha voluto “aziendalizzare” la sanità ed ha finito con farla diventare “disumana”.
Occorre riflettere su questa situazione (sicuramente non voluta dal Legislatore né dai soggetti protagonisti) per mettere subito in campo nuove strategie capaci di recuperare più “umanità” nei rapporti tra Operatori e Malati.
Come? Innanzi tutto liberando il Medico ed in genere l’Operatore della Sanità dai tanti problemi burocratici venutisi a creare in un contesto dove sembra che a tutti faccia piacere che nessuno abbia l’autorevolezza né per “comandare”, né per “decidere” autonomamente “in scienza e coscienza” professionale.
E’ questa la sfida della nuova Sanità che vorremmo: efficiente non solo dal punto di vista scientifico, ma anche e soprattutto capace di non sottovalutare l’importanza dei rapporti umani e delle risposte assistenziali più umanizzate, rispetto a come sono attualmente praticate dagli Operatori e percepite dai Cittadini.
Sono convinto che questo sia lo sforzo, divenuto ormai un obbligo, che il Sistema deve fare in tempi brevi !