Aldo Bianchini
SALERNO – “La giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio”. La massima di George Bernard Shaw, per come la vedo io personalmente, ritaglia alla perfezione la vicenda umana e professionale del mitico “filosofo rosso” prof. Roberto Racinaro (già magnifico rettore dell’università degli studi di Salerno) vittima, secondo molti e secondo un pensiero oscillante tra destra e sinistra, di una barbarica ingiustizia giudiziaria.
- “Alba del 2 giugno 1995: i Carabinieri bussano alla porta dell’abitazione del rettore Roberto Racinaro. Stringono tra le mani un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal Gip Raffaele Oliva su richiesta dei pm Filippo Spiezia e Rosa Volpe. Il tempo necessario per raccogliere le sue cose e Racinaro, dopo pochi minuti, varca l’ingresso del carcere di Fuorni. Con lui, nella casa circondariale, vengono rinchiuse altre persone (una decina in tutto); tra queste spiccano R.F., W.G. e R.B. L’inchiesta è partita qualche mese prima sulla scorta di un memoriale-denuncia di Riccardo Bramanti; una trentina di pagine in tutto, che mettono in ginocchio l’intero apparato dell’Università di Salerno/Fisciano. Gli inquirenti affermano che le responsabilità del Rettore sono gravissime, forse anche peggiori di quelle dei “tre moschettieri” (cos’ì vengono definiti F, G, e B.); dietro tutte le delibere si celano pesanti interessi economici ed un giro vorticoso di mazzette. Ventidue i giorni di carcere del Rettore; meglio noto come il filosofo rosso. Qualche anno dopo, ad assoluzione conclamata, il Rettore esclamerà: “Nel nostro Paese si respira ancora un clima inaccettabile: valgono più i sospetti che i fatti. E il giudice che assolve è un coraggioso. Sulla mia vicenda occorrerebbe un approfondimento giudiziario. Non qualcosa di poliziesco, per carità, ma un’analisi serena dei fatti e delle circostanze chye conducono a questa vicenda, dalle accuse infamanti all’accanimento successivo …”.
Ho ripreso a stralcio un brano del libro “A dieci anni da tangentopoli” (pagg. 63-64, ed. Loffredo) perché la dichiarazione resa all’epoca dal compianto prof. Racinaro rispecchia perfettamente quello che è il mio pensiero sulla giustizia; non riesco, però, nonostante gli sforzi a schierarmi decisamente dalla parte del Rettore a meno che qualcuno non mi spieghi in maniera convincente perché la dichiarazione del rettore va bene per gli uomini di sinistra che vengono assolti e non è altrettanto per quelli di destra che parimenti vengono, alla fine, anche assolti ma mai riveriti e/o mitizzati.
Per verità storica debbo qui anche rivelare che il “famigerato memoriale Bramanti” mi pervenne anonimamente nella redazione di Tv Oggi (allora ero il direttore) e che, dopo averne denunciato televisivamente il possesso, fu sequestrato dai Carabinieri nel corso di un improvviso blitz in redazione su ordine della Procura di Salerno che mi avvisò, anche, per violazione del segreto istruttorio; accusa caduta quasi subito, dopo il mio interrogatorio.
Non a caso e non per caso il giornalista Andrea Manzi sul quotidiano La Città del 22 aprile 1998 dopo la prima assoluzione di Racinaro scrisse: “Il problema purtroppo non è di norme carenti, ma di chi le interpreta male, determinando forti emozioni sociali, inutili tensioni politiche e gravissimi danni a tanti cittadini che non conosceranno mai il sollievo di alcun risarcimento, fosse anche morale”.
Nell’ottica di un rapporto ormai da tempo consolidato, chiaro, leale e trasparente, l’avvocato penalista Cecchino Cacciatore mi ha inviato un suo approfondimento sul “caso Racinaro”; un approfondimento che, per quanto fin qui scritto, condivido per le linee generali e che nello specifico non riesco a fare decisamente mio perché non mi piacciono le “mitizzazioni spinte”, soprattutto quando provengono soltanto dalla sinistra.
Ciò non mi impedisce, però, di dare ampio spazio alla pubblicazione dello scritto di Cecchino Cacciatore, scritto che è stato già ospitato dal quotidiano Il Mattino qualche giorno fa.
di Cecchino Cacciatore
Da dove proviene? Da altro carcere?>>.
<<No, dalla libertà.>>.
<<Proviene dalla libertà…, aveva risposto il giovane carabiniere alla domanda della guardia carceraria che ci aveva accolto all’ingresso del penitenziario.>>.
Inizia così il viaggio di Roberto Racinaro da vittima della giustizia ingiusta.
Inizia anche la sua riflessione- degna del miglior giurista- sul rapporto tra la giustizia penale (criminale, come lui la definisce) e le libertà civili.
Vorrei soffermarmi su quest’ ultima e segnalarne l’attualità irrisolta e le prospettive di speranza.
Afferma Cacciari nel suo saggio sull’umanesimo- La mente inquieta- che il motto machiavellico secondo cui è essenziale farsi guidare dalla storia, da cui viene la più grande conoscenza della natura umana e le sue esperienze si trasformano in norme, precetti e ogni altro genere di sapienza a correzione degli errori e degli abusi dell’umanità, vuole sostanzialmente dire che la pietas per il passato è un sentimento vuoto se non si orienta ad un nuovo inizio.
L’andamento della storia si caratterizza di continuo per il ripetersi di momenti di crisi di valori e per ciò che attiene alle libertà- dice ancora Cacciari- tra la lex iustitiae e ogni securitas.
In questo contesto, un’idea di pacificazione- tra l’autorità della forza della legge e i diritti di libertà- si ritrova sempre nell’umanità che sappia di nuovo farsi prossima ai vinti, più che ai vincitori.
Un concetto questo che si ritrova già in Racinaro quando, nel commentare un saggio sulla cosiddetta giustizia politica, sottolinea un pensiero di Simone Weil:<< bisogna essere sempre pronti a cambiare parte, come la Giustizia, questa fuggitiva dal campo dei vincitori>>.
Ma dell’umanità- secondo lo stesso Racinaro- è parte fondante il diritto che ha senso, nell’evoluzione civile e progressiva della storia, se serve a dirimere in forma regolata i conflitti, senza ricorrere alla forza nuda e cruda.
Al pari della riflessione filosofica pura e più astratta di Cacciari, Racinaro- (molto) probabilmente conscio dell’esperienza del passaggio bruto dalla libertà alla detenzione, scrive- allora per ora- che il diritto è la forma obiettiva della civiltà di un popolo in una determinata fase della sua vita; fintantochè non vi siano elementi perturbatori che ne provochino uno stallo, con la conseguente sconfitta degli equilibri dei pesi e dei contrappesi.
Aggiunge poi che il nuovo ordine tuttavia non c’è ancora. Però ci vuole, altrimenti non si esce da quella condizione in cui tutto ciò che conta è la pura forza.
E che accade davvero quando si presenta una crisi del genere? Racinaro lo spiega efficacemente: il problema principale è di capire il funzionamento della politica; l’urgenza della critica e dell’opposizione dei valori liberali deve muovere per la creazione di condizioni sociali più sensate e più umane come guida di questo nuovo, ricorrendo al diritto democratico e alle sue regole. Unico baluardo al ripetersi delle crisi dei valori che anche nella giustizia si presentano ciclicamente.
Il diritto democratico è lo strumento di bilanciamento che afferra salda la solidarietà, che deve andare alle vittime della giustizia politica, regolando i processi di garanzia.
Nella descrizione, infine, dei processi di garanzia- cioè di tensione reciproca tra autorità e libertà senza prevaricazioni dell’una sull’altra o viceversa- c’è tutto Racinaro studioso del diritto, in particolare allorchè si cimenta nel commento di Mario Pagano, giurista del settecento, impegnato a conciliare appunto la libertà civile dei cittadini innocenti con l’esigenza della società di veder puniti coloro che commettono reati.
Annota, dunque, Racinaro che Pagano, già nelle Considerazioni sul processo criminale del 1799, di fronte ad una magistratura eterodiretta, anche se a dirigerla fosse il popolo, raccomandava che bisognasse opporre le garanzie che <<devono tutelare il cittadino onesto dagli arbitri>>, nel completo rispetto delle procedure a tutela contro i capricci e le deroghe della quartietà (termine dello stesso Pagano), cioè dell’omaggio diretto al popolo che si traduce nel tradimento della terzietà della legge e della stessa Giustizia che, quando è giusta, non è mai di chi vince.
Ovviamente il pensiero rispettabilissimo di Cecchino Cacciatore merita ulteriori tentativi di approfondimento, anche per rispondere alla domanda contenuta nel titolo: “Cos’è e di chi è la giustizia ?”.