Aldo Bianchini
SALERNO – “L’Antimafia a gamba tesa su Forza Italia” scriveva proprio così, a tutta pagina, il quotidiano La Citta per annunciare in assoluta esclusiva la notizia che la Procura Antimafia di Salerno aveva spiato, fotografato, registrato e video ripreso la conferenza stampa di Forza Italia per la presentazione della lista dei candidati alle prossime elezioni amministrative del dopo Aliberti. Tutto perché la Procura ipotizza un incredibile quanto inquietante “condizionamento dell’opinione pubblica” da parte del mai domo ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, che addirittura per interposte persone (la moglie e i genitori presenti alla conferenza stampa) avrebbe messo in atto un assurdo e forzato disegno per favorire ancora una volta l’ascesa di alcuni suoi uomini sugli scranni del prossimo consiglio comunale.
Anche questo accade ai margini, ma nei confini, del famoso processo “Sarastra” incardinato presso il tribunale di Nocera Inferiore in danno dell’ex sindaco Aliberti, di alcuni suoi parenti e di alcuni camorristi (presunti ed effettivi); al centro dell’inchiesta i presunti rapporti illeciti tra la pubblica amministrazione e la malavita organizzata di Scafati e dintorni arrivando ad ipotizzare prima una semplice “corruzione elettorale” (senza necessità di arresto) e poi passare decisamente allo“scambio politico elettorale mafioso” che con l’aggravante dell’art. 7 prevede l’arresto obbligatorio. Insomma ne abbiamo viste di tutti i colori, come in una folle rincorsa del gatto contro il topo, fino all’azzannamento finale.
La cosa avvilente di questo sistema giudiziario è che nel giro di pochi anni abbiamo assistito, più o meno, alle stesse cose nelle stesse località.
Se difatti ci spostiamo con la nostra visuale di pochi chilometri da Scafati per toccare Pagani, ritornando leggermente indietro nel tempo scopriamo che in quella città dal 15 luglio 2011 partì un’altra grande inchiesta giudiziaria (così fu annunciata !!) denominata “Linea d’Ombra” e destinata secondo gli inquirenti a fare definitivamente pulizia sui presunti rapporti tra la politica e la malavita organizzata.
Fin dalle prime ore di quella inquietante inchiesta tutti i quotidiani locali e non, dico tutti, spararono a zero sull’uomo politico Alberico Gambino (che oggi a gran voce la gente paganese vuole di nuovo come proprio sindaco, in barba a tutto quanto accaduto) e soprattutto sull’uomo nero di quella tragica vicenda, un uomo che rapidamente la stampa lo indicò al pubblico ludibrio come la mente occulta ovvero il grande regista dei rapporti incestuosi tra politica e malavita organizzata paganese; quell’uomo si chiamava e si chiama “Giuseppe Santilli”, anche lui appartenente a Forza Italia.
Secondo la Procura Antimafia dell’epoca Peppe Santilli non era altro che il “ragioniere” (anche perché lui era ed è “consulente del lavoro”) che gestiva tutti gli interessi illeciti della politica paganese al servizio dei vari, forse troppi, camorristi della zona. Il suo disperato dichiararsi innocente non valse a niente; fu sbattuto in carcere sebbene seriamente ammalato, e le sue condizioni peggiorarono di molto. Ma niente da fare, lui era il mostro per la Procura e per la stampa, e continuò a rimanere in carcere fino all’inizio del processo; all’inizio della prima udienza fu trascinato in manette, insieme a Gambino e altri, nell’aula bunker del Tribunale di Nocera Inferiore.
Conoscevo Giuseppe Santilli da oltre quarant’anni, non avevo mai neppure per un istante dubitato della sua innocenza; quella mattina della prima udienze ci guardammo a lungo negli occhi e capii quanto era immenso il suo dolore per quella forzata e violenta esposizione pubblica anche di fronte ai suoi figli presenti sulle gradinate riservate al pubblico. Dopo averlo cercato con lo sguardo, superando la barriera degli agenti di custodia mi avvicinai e lo abbracciai, anche se per pochissimi secondi e con il consenso silenzioso del pubblico ministero dr. Vincenzo Montemurro che molto probabilmente sapeva dei nostri antichi rapporti. Da quel giorno nel futuro di Santilli si accese una piccola luce, divenuta poi sempre più grande, fino alla scarcerazione e poi all’assoluzione globale pronunciata dalla Corte Suprema di Cassazione, mentre la malattia è andata sempre avanti.
L’altra mattina, mercoledì 6 marzo 2019, proprio mentre il quotidiano La Città sparava a tutta pagina “L’Antimafia a gamba tesa su Forza Italia”, con il racconto in chiave sicuramente non assolutoria nei confronti di Pasquale Aliberti, quell’uomo nero del processo Linea d’Ombra era di nuovo seduto in una fredda aula della Corte di Appello di Salerno per assistere da uomo libero ed innocente all’udienza, insieme al suo avvocato Giovanni Falci, di decisione sulla sua “richiesta di ristoro per l’ingiusta carcerazione” subita qualche anno prima.
Ma l’altra mattina la storia era cambiata; quella stessa giustizia che lo aveva proditoriamente incarcerato senza neppure curarsi della sua malattia, quella stessa giustizia che lo aveva sbattuto in prima pagina come la vera mente perversa del “Sistema Pagani”, quella stessa giustizia ora lo rispettava innanzitutto come uomo e decideva addirittura di stravolgere l’ordine dei processi da chiamare per consentirgli di sottoporsi alla sua brava dialisi, quasi quotidiana.
La Corte alla fine, come prassi vuole, si è riservata di decidere se accogliere o respingere la richiesta di ristoro; ma questo per Giuseppe Santilli sicuramente conta poco, la sua “dignità strappata” probabilmente non gliela ridarà mai nessuno, anche se la giustizia gli ha offerto la giusta soddisfazione facendolo sentire mercoledì mattina semplicemente “un uomo di fronte alla giustizia” che aspetta con serenità e serietà il verdetto.
Morale del racconto. Anche io, insieme a Peppe, aspetterò quel verdetto per capire, poi, se e come la stampa deciderà di scrivere intere paginate per proclamare non solo la ritrovata innocenza ma anche l’umiltà con cui la giustizia, amministrata dagli uomini, riesce a recuperare se stessa mentre la stampa fa finta di nulla come in pratica ha già fatto dopo la sentenza della Cassazione.
Nel titolo parlavo di similitudini; mi auguro di non dover scrivere le stesse cose fra qualche tempo per un altro grande imputato, Pasquale Aliberti, che ogni giorno di più sembra rivestire i panni del “grande capo dei capi” della malavita organizzata scafatese.