Aldo Bianchini
SALERNO – La storia di Maria (nome immaginario) che sto raccontando è giunta alla terza puntata; le prime due, sempre pubblicate su questo giornale, potete trovarle alle date del 14.11.18 e del 2.12.18.
E’ una storia di malasanità, purtroppo, che ha colpito una donna, rimasta vittima della superficialità con cui è stato trattato il suo caso; superficialità addirittura rilevabili dalla cartella clinica che è stata appositamente acquisita dai familiari.
Prima di andare avanti va fatta necessariamente una precisazione; nell’ultima puntata ho parlato della lettiga di Maria in corridoio. Non è così, la lettiga si trovava in una stanzetta mentre il marito nel corridoio esterno cercava di soccorrere un malcapitato stremato su una barella ed affidato alle mani del destino. Soltanto dopo la mezzanotte arrivò un’ambulanza per prelevarlo e portarlo in altra struttura.
Mentre il nostro M.S. fa per seguirlo e salutarlo viene bloccato da una voce metallica di un operatore professionale ed educato: “Venga a vedere sua moglie” e fece strada fino nella stanzetta..
Comunque i nostri entrano nella stanzetta e trovano la congiunta Maria assopita e leggermente più colorita rispetto all’arrivo in ospedale; MS comincia a farle delle domande anche al fine di valutare la sua capacità di capire e di elaborare le risposte; rispose appena, ma sempre in linea, lucida e coerente.
A quel punto MS e Ka (padre e figlia) fanno dell’altro; applicano per sicurezza sul braccio dx del cerotto con la scritta “non intervenire su questo arto in nessun modo” in quanto, come già detto, la paziente nel 2001 aveva subito l’asportazione del seno destro per cancro mammario e da quel momento c’era sempre la paura che per un qualsiasi motivo potessero insorgere dei linfonodi ascellari.
Sollecitati ad uscire, la lasciarono senza prima averla coperta parzialmente con un lembo di giacca a vento depositata sul torace; uscirono dalla stanzetta.
La mattina successiva, martedì 31 luglio 2018. i due ritornano in ospedale e trovano Maria in discrete condizioni; la giacca a vento, ovviamente, le era stata tolta di dosso e depositata chissà dove.
M.S. annota nel suo diario di quei giorni tristi:
- Quando ci permisero di entrare, trovammo Lucia in migliori condizioni. Il giubbotto le era stato tolto di dosso ed era stato poggiato da qualche parte. L’aria, raffreddata dai condizionatori, soffiava dalla bocchetta di aerazione posta proprio sulla verticale del lettino di ….. e convogliava aria fredda sul suo petto. Ne informai l’infermiere ed egli sostenne “che non poteva farci niente e che gli altri malati necessitavano di aria fredda”. (E’ una risposta accettabile quando essa viene da un operatore sanitario? E’ come dire: “per salvaguardare te, dobbiamo danneggiare gli altri, o viceversa: per salvaguardare gli altri, dobbiamo danneggiare -giocoforza- te”). Su mia insistenza, venne sul posto e si rese conto che sulla lettiga occupata da mia moglie c’era un flusso continuo di aria fredda e si decise a controllare il regolatore di temperatura. Ebbe un’imprecazione e confermò che effettivamente qualcuno aveva manomesso il termostato e ne aveva abbassato i gradi di riferimento. Io avevo già coperto il petto di mia moglie con la giacca a vento e raccomandai di non rimuoverla.
- Visto che quell’operatore sosteneva -sbagliando- che “non poteva farci niente”, devo pensare che tutta la notte non si era accorto (lui o chi l’avesse preceduto nel turno di servizio) di quell’anomalia nella diffusione dell’aria fredda e dell’evidentissimo convogliamento della stessa sul corpo di mia moglie.
Che senso ha, allora, la solita rassicurazione che viene ripetuta a memoria dagli operatori ospedalieri ai parenti preoccupati per i propri congiunti:<<State tranquilli… Ci pensiamo noi… Provvediamo noi…>>. Falso! Nel caso di mia moglie, il danno c’è stato nella totale disattenzione di chi avrebbe dovuto prevenirlo e quindi evitarlo. Come si fa, poi, a stabilirne l’entità, che influisce sempre -in maggiore o minore misura- sulle condizioni già compromesse?
E arriva il momento della colazione che in un primo momento sembrava essere stata vietata e che poi, per disposizione di una dottoressa di servizio, si materializzò improvvisamente. Maria chiese una tazza di orzo e due fette biscottate. Apriti cielo, contrordine e la colazione saltò. M.S. si precipitò nell’ambulatorio per chiedere spiegazioni ma la risposta fu nebulosa e confusa e che probabilmente Maria sarebbe stata trasportata in medicina.
Al nostro protagonista (nella vita quotidiana di oggi è poeta, scrittore e giornalista, dopo essere stato a lungo anche docente nelle scuole superiori di Salerno) non rimane che ritornare al capezzale della moglie; ed ecco cosa scopre:
- Subito dopo il mio allontanamento, giunsero accanto al letto di … diversi infermieri. Dovevano trasferirla in un altro reparto. La spiegazione fu: il posto serve con urgenza. Appena provarono a sollevarla, … emise urla fortissime di dolore. Mia figlia li avvertì ripetutamente, in particolare, che la mamma soffriva di forti dolori alla spalla sx. Qualcuno la spinse nel corridoio e, nel cercare di opporsi, ebbe il tempo di vedere divincolarsi e sbracciare la mamma colpendo un infermiere (?) con un ceffone. Afferrarono … senza riguardi e pietà; le urla non avevano niente di umano. Mia figlia colse la scena, che le è rimasta impressa nella memoria, simile a quella di un animale terrorizzato e sofferente che va al macello. Non le fu dato un attimo di tempo per assimilare l’accadimento né per darle la possibilità di avvertirli in merito al braccio dx pressoché invalido ed a quello sx con dolori atroci alla spalla. Dopo pochi minuti, improvvisamente, le urla cessarono e mia figlia -traumatizzata- piangendo e supplicando, mentre cercava di entrare, vide passare la barella con la mamma in stato d’incoscienza.
Nella prossima puntata analizzeremo le reazioni-riflessioni del nostro M.S. dopo il tristissimo episodio sopra descritto.
Intanto è giusta una mia diretta riflessione: “Capisco che nelle complesse, enormi ed a volte inefficienti strutture ospedaliere rischiamo tutti di essere soltanto dei numeri, ma chi giura sul vangelo di Ippocrate dovrebbe sempre tener presente che davanti a se non ha un fascicolo cartaceo ma un essere umano in carne ed ossa, con tutte le sue paure e con tutta la voglia di vivere ad ogni costo”; nella fattispecie questi semplici ma essenziali momenti di minima umanità sembrano essere scomparsi.
Secondo me è compito precipuo di un Organo d’Informazione portare a conoscenza della gente i fatti che accadono intorno a noi nella realtà quotidiana. Fatti che scaturiscono da pensieri e comportamenti… I fatti belli, meno belli e brutti e lasciare i fruitori dell’informazione analizzarli (o valutarli) e risalire alla loro originaria causa.
Benissimo ha fatto “IL QUOTIDIANO DI SALERNO” (forse unica Testata) a prestare attenzione alla vicenda perché da essa stanno emergendo piccole e grandi disattenzioni che, un alcuni casi, potrebbero assumere anche i connotati e la dimensione di colpa.
In ogni caso (colpa o non colpa) -in modo particolare in Sanità- atteggiamenti di superficialità, disattenzione o opportunismo non possono -né devono- passare inosservati. Essi devono potere essere analizzati, discussi, rappresentati, risolti civilmente -ma fermamente- da ogni Cittadino perché la questione riguarda tutti come utenti e come contribuenti.
Perché si parla sempre (e tanto) di calcio e poco o niente di tutela della salute e assistenza sanitaria secondo i crismi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità? A parte le numerose altre ragioni, -secondo me- perché s’impiegano fiumi d’inchiostro per scrivere di SPORT e solo gocce per i DIRITTI DEL CITTADINO MALATO (che dovrebbe essere “sacro”).
Quindi bene ha fatto, -la Testata salernitana-, a non far cadere nell’oblio queste vicende. E non per la ricerca (magari inconscia) di una “legge del Taglione” o azione di vendetta ma semplicemente e proficuamente nell’intento di sollecitare l’attenzione dovuta -sempre e scrupolosamente- da parte di tutti gli Operatori sanitari nei confronti della Persona che Essi hanno la ventura di avere davanti (malato o non).
Plauso -quindi- vada da parte di tutti a “IL QUOTIDIANO DI SALERNO” e al Suo Direttore che -come sempre- tocca tematiche delicate che richiedono la disponibilità (se non proprio coraggio) a divenire “scomodi” perché trattano materia sulla quale sta colando sempre più il tossico succo di personalismi, incompetenza, autoritarismo, permissivismo… Tutto nella progressiva vanificazione di impegno, scienza e coscienza di eccellenze che pur -fortunatamente- ancora esistono a tutti i livelli.
La vicenda di malasanità raccontata in questa serie di articoli, deprecabile sotto ogni punto di vista, lascia allibiti e sconcertati, per non dire altro. Una struttura pubblica che mostra di sè un’immagine così deprimente mette in dubbio la sua ragion d’essere e conferma l’opinione di coloro che vorrebbero che ogni attività diretta ai bisogni del pubblico fosse in mano ai privati.
Eppure non sempre è così.
Nei primi giorni dell’anno ho contattato l’Agenzia delle Entrate di Salerno in via degli Uffici Finanziari
per la registrazione di un contratto di locazione. Pratica non particolarmente difficile, da espletare mediante la presentazione di apposita modulistica. Sennonché, una volta presentata l’apposita documentazione allo sportello di riferimento, un impiegato, con fare burbero è infastidito, mi ha detto che era tutto sbagliato e occorreva rifare completamente la pratica. Ha però acconsentito ad ascoltare alcune mie delucidazioni sulla natura del contrato e così, quasi per miracolo e pur inframmezzando il suo intercalare con parole colorite e poco benevoli nei confronti di colleghi di altri Uffici che in passato avevano immesso nel sistema dati incompleti o imprecisi o non pertinenti, si è sentito in dovere di “sistemare le cose”, anche, a suo dire, per evitarmi in futuro eventuali richieste di delucidazione, visto il coinvolgimento di Uffici dell’Agenzia delle Entrate di Roma.
Ha quindi effettuato il previsto iter procedurale per la registrazione del contratto da me richiesta.
Naturalmente la cosa mi ha fatto un grande piacere. La mia prima impressione, che era stata di comprensibile fastidio, si è trasformata in un sincero apprezzamento per una persona dimostratasi così disponibile e pronta ad assumersi un onere non pertinente per la specifica situazione.
Un esempio – che neanche ritengo tanto raro – di come anche nella pubblica amministrazione si può avere a che fare con persone a modo, disposte a venire incontro alle esigenze degli utenti alle prese con le incombenze di natura burocratica.
Una calorosa stretta di mano ha concluso il nostro incontro.