(Corrispondente – notista politico da Roma)
ROMA – In mezzo al caos che si sta scatenando in tema di manovra finanziaria, prende il suo dovuto spazio la questione pensioni. Nel 2011 fu nascosta sotto il velo dello “adeguamento alla nuova speranza di vita” una gabbia al mercato del lavoro Italiano, imposta come direttiva dall’alto in un gioco di “letterine” al quale ancora oggi siamo costretti ad assistere; la gabbia in questione prende forma come art. 24 del D.L 6/12/11: da un lato non consente la fuoriuscita di lavoratori ormai sulla soglia della pensione, allungando di quanto basta il termine per garantire la loro permanenza; e per converso, limita il ricambio generazionale, invecchiando il mercato del lavoro e contribuendo al triste panorama dell’occupazione italiana, in particolare quella giovanile.
Non è un caso che, di fronte ad una spiccata disoccupazione giovanile, si attesti una spesa pensionistica di molto superiore alle entrate contributive: seppur in fase calante la spesa e le entrate in lieve ascesa, il prosieguo sulla strada dell’austerità e la mancanza di soluzioni al problema dell’occupazione giovanile, non avrebbero fatto altro che accrescere lo squilibrio tra i due valori, rompendo di fatto quello che è il principio del sistema contributivo: i giovani pagano la pensione ai pensionati. Se a tutto questo aggiungiamo la contrazione del mercato del lavoro che si prospetta con lo sviluppo in campo di I.A e robotica, che non si sa né quanti lavori potrebbe uccidere, né quanti potrebbe creare, ciò che rimane è un quadro di incertezza generale, alla quale la politica deve dare una risposta decisa.
Attualmente la soluzione proposta dal governo è un superamento graduale della Fornero, partendo con la cd “quota 100”, somma di 62 anni d’età e 38 di contributi, per poi arrivare a “quota 41”, che permette il pensionamento con 41 anni di contributi; insieme a queste due quote la proroga della cd “opzione donna”, che consente a donne con 57-58 anni d’età e 35 di contributi, optando per il sistema di calcolo contributivo, di pensionarsi.
L’INPS si è espressa per due volte, per bocca di Boeri, in commissione lavoro. Il presidente ha dichiarato che una controriforma del sistema pensionistico farebbe aumentare il debito di 100 miliardi, poiché i contribuenti, come detto in calo, non riuscirebbero a controbilanciare l’aumento di spesa pensionistica, aggiungendo che le soluzioni proposte vanno a svantaggio delle donne.
Tutto si poggia sulla grande scommessa di questo governo, ovvero il PIL: riuscendo a farlo crescere, il debito pensionistico graverebbe di meno.
La grande scommessa ne contiene altre più piccole, che vanno dal turnover tra pensionati e giovani, alla mobilitazione del risparmio privato, passando per lo sblocco degli investimenti pubblici a livello locale, che necessita di una revisione del codice degli appalti a livello nazionale ed europeo. Sullo sfondo, poi, c’è il progetto di riforma delle istituzioni europee, che ormai è una sfida che ha visto anche l’opposizione esprimersi, anche se in maniera molto approssimativa. Se il sistema europeo fosse ristrutturato, ridando spazio alla politica e ai valori che stanno alle fondamenta di ciò che oggi chiamiamo UE, scorrerebbe nuova linfa vitale nei sistemi economici, dando speranza e mezzi per affrontare i disagi sociali e riuscire restituire maggior benessere in ogni angolo del continente.
I numeri e le considerazioni di Boeri, al di là della loro veridicità, sono un responso tecnico che mette in guardia sui rischi che si corrono intraprendendo una strada differente; tuttavia, non concedono un’alternativa, se non l’astenersi dal modificare quanto è vigente: la frattura avviene qui, poiché l’elettorato si è espresso largamente contro lo status quo, soprattutto in tema pensioni. La presenza di rischi di deriva, di fronte ad una condizione che comunque è ritenuta sfavorevole, rende il rischio meno inquietante.
In ogni caso, tutte queste discussioni avvengono in assenza di un testo definitivo, relegandole al confine con la chiacchiera.