Di Angelo Giubileo (scrittore)
ROMA – Accade sovente, e in particolare qui da noi in Italia, che ci si dimentichi della realtà facendosi dominare dall’impulso del ragionamento sterile e soprattutto capzioso. E’ da circa un mese che dibattiamo sul DEF, e lo faremo ancora fino all’approvazione della manovra di fine anno, senza approdare a un minimo di ragionamento costruttivo, ciascuno schierato sul proprio fronte. Miseramente. E allora, proviamo in generale, in maniera molto modesta ma ritengo significativa, a rammentare ai più quali sarebbero, in argomento, innanzitutto i fatti che ci avrebbero in qualche modo portati fin qui.
Per primo, il fatto che negli ultimi 20 anni circa nel nostro paese, il reddito pro-capite è cresciuto in media ben al di sotto degli altri paesi dell’Ue – a eccezione della sola Grecia, a quanto pare appena uscita dal piano della troika (FMI, BCE, Commissione Ue) di rifinanziamento del debito -, a tal punto che potremmo anche dire che non è cresciuto affatto. Questione di decimali. Contestualmente, in tutti questi anni trascorsi, il nostro debito pubblico ha continuato a crescere. Così che, questi due fattori non spiegherebbero da soli il problema reale della mancata crescita; se non fosse infatti che per un terzo fattore, il mancato aumento sperato e doveroso del tasso di produzione del paese. Senza produzione (alcuni parlano di produttività altri d’investimenti, ma si tratta di punti di vista parziali), nella migliore delle ipotesi, la crescita rimane bassa perché ancora legata ai risparmi (pochi) rimasti e all’incremento viceversa costante del debito pubblico complessivo.
E quindi, non che l’Ue non se ne sia accorta almeno per tempo, tant’è che insiste da almeno un decennio, e cioè dalla crisi del 2007/2008, sulla necessità che l’Italia attui riforme per la crescita. Anche qui, proviamo a sintetizzare: lotta alla corruzione, giustizia rapida ed efficace, lotta all’evasione, sburocratizzazione e riforma della PA i nodi principali che, a giudizio unanime, impediscono al nostro paese di crescere. E allora, qual è il punto prioritario dell’intera questione?
Allo stato dei fatti accaduti, e quindi sempre con un minimo di ragionamento essenziale, occorrerebbe valutare i fatti presenti e, eventualmente, in scadenza nel prossimo futuro. Così che, a sostenere la situazione del debito pubblico italiano, interviene da circa 7/8 anni il governo dell’Ue, per il tramite della Bce, mediante piani di finanziamento, e in particolare la manovra generale per l’Europa di quantitative easing, tuttavia in scadenza, pare fissata ad aprile 2019 (per ragioni che dovrebbero risultare evidenti, come anche diremo). Come per tale recente passato, un piano di sostegno dell’Ue necessiterebbe di un accordo, che in questi anni è consistito in piani cosiddetti di austerità (o risparmi di spesa), a garanzia dei quali ogni anno occorre comunque reperire le risorse necessarie per evitare aumenti dell’IVA sui beni di consumo, in misura pari annualmente a circa 20 miliardi.
In generale, quindi, una politica dell’Ue improntata al consumo che, nello specifico nostro, sostenga e sostiene anche la mancata produzione oltre che l’eccesso di debito.
In atto alla mancata crescita e in previsione della scadenza dell’aprile 2019, il tentativo dell’attuale governo rappresenta quindi un’ipotesi, in qualche modo d’inversione di rotta ma in continuità con le scelte del passato, che ha lo scopo d’incrementare la produzione con un maggiore finanziamento di risorse, per un importo complessivo in analogia pari a circa 20 miliardi da redistribuire in buona sostanza su pensioni, flat tax e reddito di cittadinanza.
E’ evidente che una tale manovra non sia gradita all’Ue, ma è anche opportuno chiedersi: quali garanzie avrebbe il nostro paese dall’uscita dei piani finanziari della Bce e quasi immediatamente di Draghi, perché no?!, dal ruolo di governatore della medesima? Inoltre, se il tentativo sia promosso e quindi realizzato, è lecito ritenere e anche augurarsi che le risorse necessarie al finanziamento e al sostegno del debito siano reperite altrove, e come sembra di capire maggiormente in questi giorni, negli Stati Uniti piuttosto che in Russia. Con uno sguardo anche alla Cina, considerate anche le due recenti missioni, rappresentativa del vicepremier Di Maio e operativa della delegazione di governo guidata dal sottosegretario “poco cinese” Geraci, e quindi cavandocela con una battuta potremmo concludere: soltanto con un occhio, tutt’al più una mano, ma nulla di più.
Dato che altri fatti internazionali, più importanti, sopravvengono; come, il mese prossimo, le elezioni di midterm negli Usa, che potrebbero garantire nel paese il dominio incontrastato dell’amministrazione Trump in linea con la nuova politica di dazi a danno soprattutto dell’economia cinese; e a maggio 2019 le elezioni in Europa del Parlamento Ue, i cui fatti oggi lasciano presagire un cambio di maggioranza politica. Fatti che fanno tutti pensare a un cambio di scelte politiche anche nel nostro paese. Ma, come sempre: in cerca di finanziamenti, e poi più che altro nella speranza o comunque attesa di slanci produttivi.
direttore: Aldo Bianchini