Ho sempre amato i peccati. Tutti. I peccatori ancora di più. E nutrito particolare simpatia per tutti quei peccati che procurano piacere. Quindi che peccati non sono. Forse perché non esiste il peccato. Ma esiste il peccare. Di cosa? Dell’assenza di procurare e procurarsi il piacere. È questo il vero peccare, per me.
Superbia, gola, lussuria. Tutti questi sentimenti (non peccati) provocano piacere. Tranne uno: l’invidia. Ed è esclusivamente per l’assenza del piacere che mi è ostile. E non procurando il piacere provoca la bruttezza, invecchia precocemente chi ne soffre, consuma l’anima, decompone il fisico, atrofizza ogni bellezza, rende ciechi davanti all’infinito. Francamente non comprendo chi ne soffre. Praticamente non comprendo,quindi, la quasi totalità degli esseri umani. Perché, credetemi, di invidia c’è ne è davvero tanta. Più della polvere.
Il meccanismo è complesso quanto elementare. La nostra identità profonda si esprime nella socialità. L’identità è il nucleo più profondo di noi stessi. Nella socialità l’identità si realizza. Ma per crescere e svilupparsi ha bisogno di una maledizione chiamata riconoscimento. Quando questo manca, la stessa identità entra in conflitto dentro noi stessi. E’ in questo conflitto che matura l’invidia come sentimento. Consente a chi è totalmente incapace di autostima, a chi vive di quella maledizione che è il riconoscimento, di guadagnare terreno, di riscattarsi, di nobilitarsi attraverso la demolizione dell’altro. Con qualunque mezzo. E ad ogni costo.
La pressione sociale che gli invidiosi percepiscono è altissima, poiché sono gli altri, è la società a decretare il maledetto riconoscimento, a stabilire il valore degli individui. E il criterio della decisione è il successo. Ma c’è dell’altro. L’invidia è un moto dell’anima, che vive e si radica nelle coscienze dei falliti, dei frustrati, degli insoddisfatti di sé.
Ma c’è ancora di più. Come riconoscere l’invidia? Come capire se qualcuno è invidioso?
Anche qui il meccanismo è facilmente comprensibile. Basta porsi una domanda: avete mai visto qualcuno infelice godere della felicità dell’altro? Certamente no.
Poiché l’umanità è infelice è invidiosa. Qualche esempio: personalmente non ho mai creduto nell’amicizia. E continuo a non crederci. Le favolette non fanno per me. Credo nei contatti, questo sì. Negli incontri, questo sì. Nelle affinità, questo sì. Ma non spacciamole per amicizia. Perché, ripeto, non esiste. E’ una truffa, l’amicizia. Che ci hanno insegnato per amare il nostro prossimo. Che non amava poi neppure Cristo. Cristo non ci ha mai amati perché ci amassimo l’un l’altro. Al contrario, essendo un profeta intelligente, ci odiava. Ma ci ha indicato una strada.
Qualunque persona intelligente non può amare il prossimo. Lo disprezza. Ma può amare l’umanità. Che è ben altra cosa. Vedete, l’umanità non è affatto la somma dei singoli individui. Tutt’altro. L’umanità trascende i singoli. E’ una meravigliosa entità che parla all’universo. Gli uomini, al massimo, provano sentimenti cupi. Non tragici. La tragedia, per favore, lasciamola all’umanità.
Ditemi voi se davvero pensate che un “amico” possa augurarvi la felicità. Finge di farlo. In realtà entra in sofferenza. Una prova: vestitevi bene, superate prove importanti, siate felici di un amore, abbiate successo nel campo professionale. Vedrete intorno a voi soltanto i sorrisi dipinti di un clown. Mai sorrisi veri di gioia. Se poi analizzate il singolo amico che non è felice, per mille motivi, come pensate che lo sia per voi? Un amico che patisce le sofferenze della fame, come pensate che gioisca della vostra sazietà? Quindi gli amici non esistono.
Altra categoria spregevole, in quanto invidiosa, sono i consiglieri ad ogni costo. Quelli che consigliano senza che sia mai stato loro richiesto alcun consiglio. Sono i più invidiosi, poiché non parlano per la vostra felicità, ma consigliano appunto come non esserlo, felici. Senza che ve ne accorgiate.
Seguono gli amici cosiddetti psicologi. Sono i peggiori. Prima di ascoltarli, osservate lungamente le loro vite private. Vedrete così che è gente inadeguata, intellettualmente depressa, scarsa, frustrata, infelice, insoddisfatta, con carichi di fallimenti addosso. Come le amiche e gli amici amanti di professione. Credete davvero che possano essere felice di un vostro rapporto capace di suggere le bellezze dell’universo? Come pensate che costoro possano provare gioia di un vostro rapporto felice? Loro che sono condannati ad accontentarsi di un amore di briciole che non basterebbero ad un uccellino? Di quattro Whatsapp, per intenderci.
Questa psicologia da parrucchiere si traduce nella presunzione di darvi consigli senza neppure conoscere le persone di cui si pretende di vaticinare i comportamenti. Ciò all’esclusivo fine di rendervi insicuri e instabili. Per impedirvi di essere felici, in sintesi. E abbondano i consigli “stai attento” oppure “non fidarti” e ancora “se poi fa così…” e ancora “ se poi ti fa del male…” e cose del genere. Ripeto, costoro vogliono per voi una vita fotocopia della loro, per giustificare e assolvere se stessi e i propri fallimenti. Vogliono trascinarvi nel gorgo della loro infelicità, essendo loro stessi infelici. E lo fanno rendendovi instabili e insicuri. Iniettando nelle vostre vene il veleno del dubbio ad ogni costo. Tutto, pur di rendervi infelici come loro.
A tutte queste categorie di sottoumanità urlate con forza che ogni forma di amore si misura con il livello di gratuità di cui è capace. Abbiate il coraggio di amare l’altro per ciò che è e non per ciò che dà. Questo intendeva Cristo. Ed era questa la strada. Abbandonate dunque l’invidia e i suoi meccanismi. Perché non sarà certo questa a rendervi migliori. Rompete le catene dell’odio. Andate dritti per la vostra strada. E fidatevi del vostro unico istinto. La sede naturale è una soltanto. La pancia. E il vostro unico amico è uno soltanto. Si chiama istinto.
direttore: Aldo Bianchini