Gli eroi e la politica del nuovo millennio

 

Felice Bianchini junior

 

ROMA – L’eroe è nell’immaginario comune colui che può, colui che solo può caricarsi sulle spalle il peso di un’impresa da compiere, di un problema da risolvere; egli, perciò, detiene il potere, ed è allo stesso tempo il salvatore, il risolutore e l’ispiratore; nell’ispirare diviene modello, esempio da seguire, identità da preservare. La legittimità del potere dell’eroe risiede al contempo nella sua reale capacità di compiere l’impresa e ancor prima nella fiducia che in essa viene riposta dai suoi sostenitori.

Gli eroi fanno il loro ingresso nella nostra vita fin dalla più tenera età: dai personaggi storici, ai protagonisti di racconti mitici e fantastici, passando per i moderni “supereroi”.

Nell’era dei “social”, l’eroe si trasfigura nell’idolo, figura venerata che si sostituisce a un Dio che pare ormai sempre più morto. Non essendoci, però, un unico idolo, si assiste a una guerra su due fronti: in “alto” si affrontano tra di loro gli idoli, a colpi di frecciatine; in “basso”, i “followers” – ovvero i sostenitori – si scoprono da un lato “amatori”, riempiendo di “like” il proprio idolo, dall’altro “odiatori” (haters), collezionando insulti nei confronti degli avversari. Che piaccia o no, non si può affrontare uno studio del panorama politico attuale, senza avere presenti e tenere conto di queste dinamiche “social”.

La società in cui viviamo pone le sue radici nella storia dell’ultimo secolo, ma è germogliata a partire dal 1989. Sui resti del muro di Berlino è stato edificato un nuovo mondo, il quale, dalla prospettiva Occidentale, è stato battezzato come un mondo nuovo, portatore di pace e libertà. Lo scorrere degli anni ’90 ci ha lasciato in eredità: la “Nuova Economia”, un sistema economico globalizzato a trazione finanziaria; la prima rivoluzione tecnologica, e infine la nascita dell’Unione Europea e dell’architettura della moneta unica. Tutto ciò è avvenuto in concomitanza con una generale perdita di interesse e di fiducia nella politica, distribuita in misura differente in ogni paese, la quale è dovuta: in parte alla corruzione, velata o smascherata (come nel nostro caso), in ogni caso percepita; e in parte alla degenerazione dei modelli (degli eroi), frutto dell’appiattimento che sta caratterizzando l’odierna società di internet e della globalizzazione. Questo disinteresse, che a tratti si era fatto odio, ha avuto una ripercussione sul piano di costruzione dell’Unione, portando i “popoli europei” a trascurare la progettata unione politica, ritenendo sufficiente mettersi in mano la stessa moneta (e neanche questo principio è stato rispettato del tutto).

Il politico, divenendo nell’immaginario comune ladro, ha perso la possibilità di essere eroe e ha macchiato la politica, relegandola nel falso. In questo contesto ha preso piede la convinzione che la scelta migliore sia divenire ognuno l’eroe della propria vita, privando sempre più lo Stato di responsabilità: ciò ha condotto quasi del tutto l’eroismo dalla politica all’economia, facendolo culminare nella figura dell’imprenditore, colui che detiene la responsabilità dell’impresa e che tramite il suo “know-how”(sapere come) e il suo “Problem solving”(risoluzione di problemi), che altro non sono che “tecnica”, legittima la detenzione del potere d’azione.

La fiducia che conta, lentamente, è passata da essere quella dei sostenitori, degli elettori, ad essere quella del mercato e dei consumatori. Il mondo di pace e libertà si è tramutato in una giungla in cui sembra vigere, a tratti, la sola legge del più forte. A farne le spese è la cultura, ritenuta “inutile”. Con il deterioramento della cultura viene meno anche l’identità, che lascia un vuoto nella vita delle persone, con effetti devastanti sui giovani, che scadono nel nichilismo più profondo.

L’infanzia, colma di racconti fantastici ed epici, sfocia così in un’età adulta cinica e disillusa, tale poiché a tutti è concessa la possibilità, ma non è assicurato a nessuno il destino di divenire eroi della propria vita: inizia la continua lotta per la difesa della cerchia degli stretti interessi personali, il risultato della quale dipende dalla capacità di aggirare, vincere, o adattarsi all’ambiente circostante e alle sue regole. Per riuscire a sopravvivere (e vivere) all’interno dell’ambiente, un uomo comune deve avere una riserva di denaro, che gli renda possibile un letto sotto un tetto e almeno due pasti al giorno, per sé e per la sua famiglia. Da sempre esistono gli “sconfitti” e gli “scontenti”, tuttavia, per svariate ragioni, negli ultimi anni si è verificato un loro aumento; hanno però raggiunto le orecchie di una classe politica nuova, che ha fatto suoi i disagi percepiti, e ha raccolto fiducia grazie alla sua efficace, diretta e immediata comunicazione, nonché presentandosi come “eroe”, e definendo senza mezzi termini i nemici.

La soluzione che si è presa le maggiori responsabilità di risoluzione dei problemi è la riforma del sistema economico, unita all’inizio di un nuovo processo di unione politica europeo, che riparta dall’unità nella diversità e rispetti le varie culture. Chi non vede la priorità di questo tema dovrebbe stropicciare un po’ gli occhi. Arrivando quindi ai giorni nostri: le leggi non riescono ad essere un mezzo in grado di cambiare le carte in tavola, tantomeno possono i “tagli tecnici”, privi di sensibilità umana, prima ancora che politica.

Per riformare il sistema economico non basta la volontà popolare o parlamentare nazionale, poiché le politiche economiche sono state messe in funzione della fiducia degli investitori, ormai per lo più esteri. Essendo vincolato al più grande sistema europeo e con esso vincolato al mercato globale, il nostro sistema economico non può agire senza tenere in considerazione le condizioni dei sistemi più grandi. Se lo scopo (di conseguenza) diviene la ristrutturazione dell’architettura europea, l’unico modo possibile per ridefinire le condizioni dell’ambiente e i vincoli al suo interno è già segnato sul calendario, e rende comprensibile la “campagna elettorale permanente” a cui stiamo assistendo: la data è il fine settimana 23-26 Maggio 2019, durante il quale si svolgeranno le elezioni europee. L’esito è tutt’altro che prevedibile. Hanno campeggiato, tuttavia, titoli che danno per spacciate le forze populiste, per via di alcune decisioni del Parlamento europeo, facendo passare ciò che a Maggio potrebbe essere ricordato come un “disbrigo frettoloso delle ultime faccende prima del trasloco” per una “vittoria schiacciante”.

Considerando che il parlamento europeo è il risultato di un elezione che ha coinvolto meno del 45% degli aventi diritto di voto; che le ricette per affrontare la crisi ormai decennale e acutizzatasi negli ultimi anni non sono più ritenute affidabili dal sentire comune; e tenendo conto dell’ormai contagioso consenso che riscuotono i populisti, ecco che risulta difficile credere che si stia assistendo a una loro sconfitta. Il fenomeno populista è affiancato inoltre dalla crisi di identità della sinistra, che non guarda più ai lavoratori e si è preclusa il dialogo difendendo, anche solo indirettamente, l’individualismo e il liberismo, finendo per “incarnarne” i difetti e le contraddizioni evidenti.

Aggiungendo i disagi che la migrazione economica e l’aumento delle richieste di asilo politico (dovuto a guerre non contrastate, ignorate o addirittura in alcuni casi causate dal nostro malgoverno europeo e americano dell’ultimo decennio) stanno producendo all’interno del tessuto sociale, che quando non vengono riconosciuti finiscono per ritorcersi contro chi non dà loro importanza, si ottiene un ambiente favorevole quantomeno alla sopravvivenza del populismo.

Viene poi criticata la mancanza di fatti, l’incapacità di chi dovrebbe saper fare. Questo denunciato comportamento passivo, che appare degno di uno sprovveduto, quasi inconcludente, non è logicamente scorretto: il temporeggiare era ed è una condizione necessaria per questo governo, in modo da poter continuare l’accumulo di consenso e mantenerlo, in attesa delle elezioni europee.

Credo sia palese che le forze politiche al governo non stiano facendo altro che prendere tempo, talvolta con provvedimenti costo zero, altre volte dirottando l’attenzione mediatica su polemiche che, in ogni caso, finiscono per portare altri consensi. Nel mentre, dietro il sipario, chi deve preparare le mosse più importanti non viene infastidito.

 

 

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