di Angelo Giubileo
“Osservate. Un’immagine vale più di mille parole, no?”. Questa frase è tratta dal film di Oliver Stone del 1991, JFK-un caso ancora aperto, in ordine all’episodio tragico dell’assassinio del presidente Kennedy a Dallas. Ancora oggiAggiungi un appuntamento per oggi, l’immagine di JFK è legata al personaggio più emblematico della storia del Partito Democratico statunitense. Senz’altro, almeno, per quanto riguarda la storia degli ultimi sessant’anni, in quanto simbolo delle nuove libertà e del cambiamento.
Venendo ai fatti di “casa nostra” e di oggi quanto un’immagine può ancora pesare sui destini di un’intera comunità? Uso il termine comunità perché lo ritengo sufficientemente neutro, non indulgendo minimamente alla tentazione di usare altri termini quali a esempio popolo o nazione, cari e adusi rispettivamente, in un passato che speriamo non ritorni, all’uno o altro schieramento di sinistra o destra, e oggi diversamente declinati, ma accomunati per e in parte simbiotica, alla stregua rispettivamente di termini quali populismo e sovranismo.
In breve, la questione concerne qui la pervicace volontà del Partito democratico, il Pd, “de noantri” di proporre, riproporre e ridurre ogni questione a un fatto meramente comunicativo. Essenzialmente, per il Pd è sempre una questione di comunicazione o d’immagine che traspare (sia chiaro: niente a che vedere con la trasparenza) all’“esterno” di un’arte, perché indiscutibilmente tale è la politica già da prima di Platone e Aristotele, esercitata in chiave di governo.
Se qualcuno nutrisse ancora il dubbio che, unitamente all’arte di governare, il Pd possa anche praticare l’arte dell’opposizione, oltre la pratica demonizzatoria dell’avversario, è bene che codesto dubbio svanisca; perché – come già ben sottolineava Emanuele Macaluso, nel 2007, agli albori della recentissima storia del Pd – quel partito nasceva dall’unificazione tra Ds e Margherita al solo fine di conservare e mantenere assetti di potere preesistenti e consolidati. Quasi una storia in chiave postmoderna della narrazione gattopardesca: tutto cambi perché nulla cambi.
In questi ultimi dieci anni, e in particolare dalla presa del potere nel 2011, fino alla più recente sconfitta del voto politico di marzo scorso, la mission del Pd è stata quella di comunicare all’Italia e agli italiani l’immagine che le cose nel presente andassero bene, più o meno bene, e che in futuro sarebbe andato bene, più o meno bene. Salvo che tutti gli altri, diversamente da loro – l’opposizione, l’Europa, l’informazione e in fine i cittadini italiani -, non lo capissero o non l’abbiano capito e, ancora, non lo capiscano. Ma, cosa?
Semplicemente: che il progetto originario del Pd è finito. Punto. Si legga attentamente: non ho detto il Pd, il cui nome appare o forse appariva legato a una vicenda atlantica viceversa gloriosa e duratura, quella del Partito Democratico statunitense. Il progetto italiano, questo sì del Pd, è fallito. Miseramente.
E sarebbe pertanto un bene che di ciò si rendessero finalmente conto anche i “funzionari” ancora attuali del partito. Dopo i funerali di Genova, riflette tra coloro, Orfini: “Errori ne abbiamo fatti anche noi, però è arrivato il momento di reagire alla fabbrica di fango, di provare a fermarla”. Non credo però si riferisca all’idea che il ponte Morandi sia venuto giù a causa della pioggia e che le vittime accertate siano state poi sepolte da una coltre eccessiva di fango!
Se questo mio riflesso condizionato, chiamiamolo pure così, vi sia sembrato per così dire fin troppo caustico o irriverente, vi affido allora alle conclusioni dell’ex deputato e senatore del Pd, Stefano Esposito: “Vedo diversi miei colleghi su Twitter dire che si è trattato di una claque organizzata. Beh no, questo è il sentimento popolare. Sono fasi storiche e in questo momento è così. Siamo usciti perdenti …”. E, mi sia solo permesso di aggiungere: non è stata una questione d’immagine.
Anche se, è vero che un’immagine più di tanti fatti è servita a seppellire definitivamente la Prima Repubblica, l’immagine del lancio di monetine contro Craxi all’uscita dal Raphael; così che sarà forse vero che un’altra immagine, codesta degli applausi e dei fischi ai funerali di Genova, rappresenti la fine della Seconda Repubblica e l’inizio di qualcosa che, si spera sempre in bene, sia la Terza Repubblica.